Perchè in Omeopatia l'immobilismo fisico e mentale conduce alla malattia?

Pubblicato il 01/03/2010

Categorie: Metodologia Omeopatica

Autori: Francesco Candeloro

Perchè in Omeopatia l'immobilismo fisico e mentale conduce alla malattia?

La medicina omeopatica cura la realtà umana nella sua complessità psicofisica, e al tempo stesso in relazione alla sua reattività globale alle diverse condizioni sociali e ambientali cui si trova esposta. Proprio per questo motivo, è evidente come, quella umana, debba considerarsi una realtà destinata a modificarsi e ad adattarsi continuamente, con la tendenza, però, a portarsi sempre in una condizione di equilibrio con il circostante, che le assicuri il più elevato grado di efficienza delle funzioni vitali, e quindi il mantenimento invariato delle sue variabili organiche (omeostasi).

In altre parole, al variare delle circostanze contingenti l'organismo reagisce sempre come fosse una cosa sola di mente e corpo, e si porta così in una nuova condizione di equilibrio, che può essere transitoria, e quindi ricondursi spontaneamente alla precedente, o permanente, e quindi essere in realtà espressione di una perturbazione, ormai stabilizzatasi, delle precedenti condizioni fisiologiche. In entrambi i casi la perturbazione, transitoria o persistente, si manifesterà con la comparsa di una serie di aspetti fisici e/o mentali in precedenza assenti, che però, nel caso delle situazioni transitorie, rientreranno più o meno rapidamente, mentre nel caso di quelle permanenti, non avranno inizialmente alcuna tendenza a modificarsi nel tempo, e andranno pertanto a costituire un nuovo stato esistenziale della persona, caratterizzato da disturbi - fino ad allora avvertiti in maniera minima o mai - aventi ora tendenza a persistere.

E' evidente che in tutti e due i casi la persona percepirà sensazioni sgradevoli, mentali e/o fisiche, che la porteranno ad evitare, ove possibile, le circostanze scatenanti, limitando sempre più il suo raggio di azione e di esposizione personale a quelle sole situazioni ambientali e sociali, che reputerà non sconvenienti alla sua salute, e tanto meno evocative di sentimenti e sensazioni fisiche poco piacevoli. Tuttavia, in quelle condizioni che avranno tendenza a persistere, nella maggior parte dei casi essa cercherà sollievo in rimedi sintomatici, tipici della medicina tradizionale o comunque, più in generale, dell'allopatia, che attenueranno sì i sintomi insorti, ma non ricondurranno l'organismo a riacquistare il precedente stato complessivo di salute, con la conseguenza di dover spesso evitare, o limitare molto, anche quelle circostanze, conviviali e/o ambientali, che prima erano avvertite come gradevoli e dunque desiderabili. La conseguenza di tutto questo sarà in un progressivo immobilismo della persona, dapprima solo fisico, ma ben presto anche intellettuale e affettivo, che la condurrà a fossilizzarsi in una serie di abitudini e attività routinarie che, da un lato eviteranno l'insorgenza di quei sintomi e quelle sensazioni tanto sgradevoli, ma dall'altro gli precluderanno l'esercizio di attività che in precedenza, invece, erano gradite e ricercate.

Tale immobilismo, tuttavia, è da considerarsi solo apparente, dal momento che, a poco a poco, l'organismo transiterà, suo malgrado, in nuove e meno efficienti condizioni fisiologiche, esito del riadattamento costante tra lo sforzo istintivo per riportarsi al precedente stato di salute e il tentativo innaturale di sopprimere quei sintomi che, di tale sforzo, sono per lo più solo l'espressione più manifesta. In altre parole, arrestatosi il naturale processo esperienziale-evolutivo della persona, ormai atterrita sempre più dal circostante, e sempre più incapace di governare gli avvenimenti nuovi, e talvolta avversi, che inevitabilmente si succedono nella sua esistenza, avrà all'opposto inizio quel disfacimento involutivo, che l'immobilismo può solo ritardare, ma mai evitare del tutto. Dobbiamo allora considerare la ricerca della staticità, nelle relazioni sociali, così come nelle attività personali, come una mera illusione dell'agire e del sentire umano, illusione tanto più impossibile da correggere, quanto meno la persona arriva a comprendersi sia nella sua unicità, sia nella relazione con il tutto che la circonda.

In altre parole ciò che non evolve, emotivamente e fisicamente, è destinato inevitabilmente a perire, quasi vi fossero due forze contrastanti e dinamiche, che l'essere deve imparare a governare, per tornare a orientare nel giusto verso la sua esistenza e assecondarne così la corrente evolutiva e non quella involutiva. Il sentimento dominante di questo immobilismo esistenziale diviene a poco a poco la paura: paura del cambiamento, paura del nuovo e di ciò che non si conosce, paura anche solo di provare a riprendere attività ed esperienze che prima erano abituali e gradite. Tutto questo, però, ha origine dalla poca consapevolezza di sé, consapevolezza che solo attraverso l'esperienza quotidiana si impara progressivamente a riscoprire, dopo aver compreso e accettato, in un dialogo costante con il proprio cuore, che un'esistenza statica non è confacente ad un essere fin dal suo concepimento chiamato ad un costante e quotidiano divenire.

Se la persona a questo punto del suo percorso evolutivo giunta, incapace di andare avanti, ma accortasi anche che arrestarsi significa indietreggiare, presta fede al richiamo che guida i propri istinti di sopravvivenza, e accetta di affrontare con decisione quelle paure che tanto la attanagliano - anche con l'aiuto di una medicina, come quella omeopatica, sempre diretta al riequilibrio naturale di tutto l'organismo - ecco che può finalmente e progressivamente uscire dalla sua condizione, e riprendere il cammino interrotto.

Ad ogni tappa di questo cammino imparerà sicuramente a vedere il mondo con nuovi occhi, si svestirà di convenzioni e preconcetti che, come un giogo insopportabile, piegavano la sua innata vitalità, e comincerà ad avvicinarsi e a dialogare quotidianamente con quella parte di sé destinata a non perire, che mai lo aveva abbandonato del tutto, e che in questa fase gli verrà in soccorso come una madre che sostiene il proprio bimbo nelle prime fasi in cui questi impara a camminare. Sarà proprio il progressivo dissolversi delle sue paure, che prima paralizzavano il suo cuore, a restituirgli la quiete che, unicamente, può derivare dalla certezza di essere nuovamente in grado di superare quei limiti finora avvertiti come invalicabili.

In ultima analisi, comprendersi fino in fondo, significa comprendere anche che l'immobilismo fisico, mentale e affettivo, sovente quasi agognati, precedono in realtà la dinamica involuzione della persona, sino al suo disfacimento non solo fisico, mentre la quiete interiore ed esteriore sono l'effetto più evidente del dinamismo evolutivo, che tanto benessere genera nella persona, capace finalmente di riprendere quel cammino che, terminata la crescita fisica, lo condurrà al pieno compimento e conseguimento della sua interiorità.

Ed allora, quasi per magia, la montagna di inerzia del cuore comincerà a dissolversi in un corso d'acqua limpido e placido, dove l'azzurro del cielo tornerà a specchiarsi; la concava-convessità dei due fratelli, apparentemente separati e opposti, tornerà e riunificarsi in un terzogenito dove Bene e Male ritroveranno il loro spontaneo equilibrio; la mano della persona, fino ad allora esercitatasi solo a prendere, tornerà al suo fisiologico atto di dare e ricevere, e le ossa che, nell'immobilismo protratto avranno iniziato a disgregarsi, torneranno a ritrovare la naturale robustezza che sostiene ogni agire umano quando fatto con il cuore, lo stesso che, dalla sua statica inquietudine tornerà a quella dinamica quiete che da sempre è la sua più sublime melodia.

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