Omeopatia: l'importanza delle corrette definizioni

Pubblicato il 20/10/2010

Categorie: Metodologia Omeopatica

Autori: Renata Calieri

Fonte: Il Granulo

Omeopatia: l'importanza delle corrette definizioni

Quali sono le caratteristiche imprescindibili e peculiari di un medicinale omeopatico e come lo si può distinguere da ciò che non è omeopatico? Non è semplice rispondere in modo chiaro a queste domande.

In primo luogo, cosa intende il legislatore italiano per "medicinale omeopatico"?
Il Decreto Legislativo 219/06 [1] concernente la regolamentazione dei farmaci, con riferimenti specifici ai medicinali omeopatici, sigla una definizione che letteralmente suona cosi [2]: "Ai fini del presente decreto, valgono le seguenti definizioni: lettera d) - per "medicinale omeopatico" s'intende ogni medicinale ottenuto a partire da sostanze denominate materiali di partenza omeopatici o ceppi omeopatici, secondo un processo dì produzione omeopatico descritto dalla Farmacopea Europea o, in assenza dì tale descrizione, dalle Farmacopee utilizzate ufficialmente negli Stati membri della Comunità Europea (tedesca o francese); "un medicinale omeopatico può contenere più sostanze". Più avanti, all'Art. 16, si aggiunge [3]: "ha un grado di diluizione tale da garantirne la sicurezza; in ogni caso il medicinale non può contenere più dì una parte per diecimila di tintura madre [CH3], né più dì i/ioo della più piccola dose eventualmente utilizzata nell'allopatia per le sostanze attive la cui presenza in un medicinale allopatico comporta l'obbligo di presentare una ricetta medica."

Analizzando nel dettaglio queste poche righe, potremmo notare che:
- la prima definizione non è assoluta, ma solo riferita alle necessità di delineare la normativa ("Ai fini del presente decreto...");
- sembrerebbe "omeopatico" tutto ciò che sia ultra-diluito (peraltro senza riferimenti espliciti alla dinamizzazione);
- i "materiali di partenza omeopatici" non vengono affatto definiti, (rimandando ai materiali descritti nelle Farmacopee), pur facendo intuire che qualsiasi sostanza esistente (comprese molecole farmacologiche) possono essere usate quale fonte originaria di un medicinale omeopatico.
- Un medicinale omeopatico, per il legislatore, può essere anche multi-composto.

Cosi come chiederemmo a Freud di spiegarci i fondamenti della psicanalisi, sono convinta che il fondatore dell'Omeopatia Samuel Hahnemann, sia la fonte giusta da cui attingere informazioni.

Tanto per cominciare, un rimedio omeopatico deve essere diluito e dinamizzato (aspetto questo tenuto in secondo piano dalla normativa), cioè sottoposto ad un particolare procedimento di scuotimento o succussione; le materie prime provengono principalmente dai 3 Regni (vegetale, minerale e animale), purché sperimentate.

Cosa significa "sperimentate" in Omeopatia?
La sperimentazione omeopatica è molto differente da quella dei farmaci convenzionali. Secondo questa ultima, una molecola concepita in laboratorio è testata su individui malati di una certa malattia in cui si presume che la molecola in questione possa funzionare. In omeopatia, le sostanze sono testate su individui volontari sani, per valutare quali sintomi - transitori - siano in grado di indurre e, di conseguenza secondo la legge dì similitudine, quali sintomi quelle sostanze potranno curare su individui malati.

In pratica, per sapere su quale quadro sintomatico sia efficace quella sostanza, si sperimenta su soggetti sani "provocando" su di loro dei sintomi che saranno poi quelli da curare se riscontrati nei malati. Se si afferma che Belladonna è efficace su febbri violente, con forte rossore, agitazione e calore... (e tantissimi altri sintomi) è perché si è verificato che nella sperimentazione su volontari sani sensibili, Belladonna ha scatenato tutto o parte di quei sintomi sui quali essa "funziona". In altre parole, in Omeopatia, non possiamo sapere a cosa serve una sostanza se non è sperimentata su individui sani. Una sostanza solo diluita (come dice la normativa) e dinamizzata, dunque, non è necessariamente un medicinale omeopatico secondo le condizioni poste dal suo scopritore: essa deve essere anche sperimentata.

La sperimentazione, che rappresenta l'aspetto scientifico dell'Omeopatia, e il parametro imprescindibile per definire il rimedio omeopatico: dà esiti ripetibili e comparabili (sostanze sperimentate da operatori differenti in luoghi differenti, portano agli stessi risultati), e in un certo senso dà la previsione dell'obiettivo terapeutico di quella sostanza, confermabile poi, indiscutibilmente, dalla sua applicazione clinica. Tutto questo è scientifico. Il fatto che la sua sperimentazione sia differente da quella dei farmaci classici non toglie certo dignità scientifica all'Omeopatia.

Dunque, quella che sembrerebbe solo una definizione dottrinale, è invece supportata da fondamenti sperimentali scientifici: Hahnemann che ai suoi tempi era privo di strumentazione tecnologica moderna per le sue ricerche, aveva intuito e poi fondato solide basi scientifiche grazie alla sola esperienza pratica, con la sola osservazione d'esperimenti concreti e con l'ottenimento di risultati tangibili. E' lui stesso che con grande spirito di rigore scientifico, innovativo per l'epoca in campo medico, pone le basi per la sperimentazione delle sostanze utili in medicina [4].

Si pensi che, con un anticipo di quasi 100 anni rispetto ai trials allopatici contro placebo, Hahnemann sperimentò con questo metodo scientifico (adottato solo in seguito dalla farmacologia moderna), i medicinali omeopatici tra il 1829 e il 1830. Già nel 1842, i suoi successori, introdussero l'uso del gruppo di controllo con placebo, prima con il singolo cieco, poi con il doppio [5].

Per quanto riguarda invece l'uso di una o più sostanze omeopatiche insieme, anche in questo caso Hahnemann esprime nei suoi scritti [6] l'esigenza di utilizzare un solo rimedio alla volta, al fine di sortire il solo effetto previsto dalla sperimentazione. Infatti, è: "impossibile prevedere quali azioni possono avere nel malato, quando agiscono contemporaneamente più sostanze mescolate insieme, se non sono state sperimentate nel loro insieme."

Esattamente come accade in farmacologia ufficiale, non si può affermare con certezza che un principio agisce efficacemente o sia controindicato in particolari condizioni se non c'è una sperimentazione specifica in proposito che lo confermi.
Ecco che torniamo alle definizioni: cosa sono tutti quei prodotti a più componenti che troviamo in commercio e che crediamo "omeopatici"?
Sono prodotti, e non rimedi, certo con una loro dignità e identità specifica, che possiamo definire "omeopatizzati" (se sono diluiti e dinamizzati), "omeoterapici", o più specificamente "omotossicologici" (se rientrano nelle definizioni caratteristiche per questa disciplina), o "ayurvedici" (se rientrano nelle definizioni caratteristiche per questa disciplina), "isoterapici, organoterapici, litoterapici" e via dicendo... ma non "rimedio omeopatico".

E' solo questione di definizioni.

Note:
[1] Decreto Legislativo 24 aprile 2006, n. 219 Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE. Pubblicato nella Gazz. Uff. 21 giugno 2006, n. 142 S.O.
[2] Titolo I - Art. 1 "Definizioni".
[3] Titolo III, Capo II - Art. 16 "Procedura semplificata di registrazione" - lettera c).
[4] C.F.S. Hahnemann - Organon dell'arte del guarire - §§ 105-145.
[5] Si veda, sull'argomento scientificità e sperimentazione, il testo di Giarelli G., Roberti di Sarsina P., Silvestrini B., Le medicine non convenzionali in Italia - Storia, problemi e prospettive di integrazione, FrancoAngeli Edizioni, 2007 - Valeri A., Cap. 4: "La ricerca in MnC: verso un nuovo modello di evidenza" pagg.146-204.4.
[6] C.F.S. Hahnemann - ORGANON dell'arte del guarire - §§ 169, 272-274.

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