Una rielaborazione scientifica del Principio di Similitudine in Omeopatia

Pubblicato il 21/07/1997

Categorie: Metodologia Omeopatica

Autori: Paolo Bellavite

Una rielaborazione scientifica del Principio di Similitudine in Omeopatia

Nella storia della terapia, il "principio di similitudine" - il trattamento del "simile col simile" - può essere rintracciato in più di una tradizione medica, come quelle di Ippocrate, Paracelso e Hahnemann (il fondatore dell'omeopatia). Sebbene negli ultimi anni si stia assistendo alla ripresa di interesse per le medicine tradizionali e le pratiche mediche "olistiche", la validità del principio di similitudine deve ancora essere dimostrata su basi sperimentali e sono stati condotti davvero pochi studi per cercare di comprenderne i meccanismi sottostanti. Per accettare questo fenomeno sono infatti necessarie evidenze a sostegno dei possibili meccanismi e studi di alta qualità che verifichino la sua utilità nella medicina clinica. Lo scopo di questo articolo è di fornire un approccio razionale all'analisi dei vari aspetti di questo principio medico al tempo stesso storico eppure anche moderno, in vista di costruire un'attendibile impalcatura concettuale in grado di facilitare successivi studi teorici e clinici in questo campo.

PANORAMICA STORICA
L'applicazione tradizionale del principio di similitudine, anche noto come "principio dei simili", afferma che quando una sostanza è capace di indurre una serie di sintomi in un organismo sano, essa sarebbe anche in grado, a certe condizioni, di curare quegli stessi sintomi se applicata a bassa dose ("similia similibus curentur"). Questo principio empirico è profondamente radicato fin dall'antichità e lo vediamo affiorare nel corso dei secoli in diversi paesi nella storia della medicina. Applicazioni primitive del principio di similitudine possono essere ritrovate nelle pratiche magiche dei popoli primitivi, per esempio nel bere decotti preparati col corpo di animali prolifici (vespe, mosche) per curare problemi di sterilità, oppure nel cibarsi dei nemici uccisi (cannibalismo) per assumerne il coraggio, o nel preparare filtri afrodisiaci con orchidee, parte del cui fiore è simile a testicoli (1). Tra i Greci Ippocrate (460-377 a.C.), che è considerato il primo rappresentante della medicina razionale nel mondo occidentale, propose una dottrina di similitudine: "attraverso il simile la malattia si sviluppa e impiegando il simile la malattia si cura. Così ciò che provoca tenesmo urinario nel sano, lo cura in chi ne è affetto. Anche la tosse è provocata e curata dal medesimo agente, esattamente come il tenesmo urinario" (2).

Come è noto si racconta che il Re Mitridate VI (132-63 a.C.) assumeva piccole quantità di veleni e tossici per proteggersi da ripetuti tentativi di attentati alla sua vita mediante avvelenamento. Un rappresentante più recente di questa linea di pensiero fu P.T. von Hohenheim, noto anche come Paracelso (1494-1541), il quale propose la "dottrina delle segnature" ("signa naturae"), secondo la quale le proprietà terapeutiche dei rimedi potevano essere desunte dall'osservazione dell'aspetto esterno di piante e minerali: rimedi rossi per malattie del sangue, foglie appuntite acutamente per dolori da accoltellamento, eufrasia color dell'iride per le affezioni dell'occhio, e così via. Il "simile magico" fu in tal modo utilizzato per secoli in modo empirico, senza alcuna comprensione scientifica o prova sperimentale.

La prima utilizzazione seria e sistematica del principio di similitudine, all'alba della moderna medicina, risale alla fine del diciottesimo secolo, quando furono avviate le prime pratiche di vaccinazione, ad opera di pionieri come Jenner, Behring e Pasteur. Tuttavia è chiaro che l'uso di un "simile" come vaccino fu giustamente progettato dall'inizio come pratica di profilassi e non come farmaco da somministrare a persone già affette dalla malattia. Solamente in questi ultimi anni è stata introdotta nella medicina ufficiale l'utilizzazione di antigeni molecolari come agenti terapeutici (3-5).
La più evidente ed estesa utilizzazione del principio di similitudine fu espressa dall'omeopatia, una corrente medica fondata da C.F.S. Hahnemann (1755-1843), che fu molto popolare nel diciannovesimo secolo in Europa ed in America e successivamente cadde in disuso fino alla sua quasi totale scomparsa durante la prima metà del ventesimo secolo. Solo negli ultimi anni si sta assistendo ad una ripresa nell'uso di terapie omeopatiche nei paesi occidentali.

Due secoli orsono fu pubblicato su un giornale medico tedesco il lavoro "Versuch über ein neues Prinzip zur Auffindung der Heilkräfte der Arzneisubstanzen" ("Saggio su un nuovo principio per verificare il potere curativo dei farmaci") (6). Questa pubblicazione è considerata dagli storici della medicina come la prima nella quale il sistema di Hahnemann viene enunciato in dettaglio. Qualche citazione tratta dalle opere di questo grande medico tedesco può essere utile per introdurre la sua visione del principio di similitudine: "Uno imita la natura che a volte risana un disturbo cronico aggiungendone un altro e impiega nella malattia quel rimedio che è in grado di suscitare un'altra malattia artificiale quanto più simile possibile a quella che si vuole guarire ed essa sarà guarita: similia similibus" (6); "Scegliendo un rimedio per una determinata malattia naturale che sia capace di produrre una malattia artificiale molto simile, noi saremo in grado di curare le malattie più ostinate" (ibidem); "Ogni singolo caso di malattia è tanto più sicuramente, radicalmente, rapidamente e definitivamente sconfitto e guarito quanto più la medicina (che lo cura) è capace di produrre nell'organismo sano nel modo più completo e similare la totalità dei suoi sintomi, che allo stesso tempo sono più forti della malattia" (7).

Hahnemann raccomandava anche l'uso di dosi basse e di alte diluizioni (cosiddette "alte potenze") dei rimedi: "Una medicina la cui scelta sia stata accuratamente omeopatica sarà assolutamente più salutare quanto più la sua dose è ridotta al livello di minuzia adatto ad esercitare un effetto risanante delicato..." (7). Questo è un aspetto ulteriore ed ancora altamente controverso di questo sistema terapeutico, ma noi qui eviteremo di affrontare l'argomento delle dosi ultra-diluite dei farmaci, che richiederebbe un discorso a parte. Non tutti i farmaci omeopatici, anzi la minor parte di quelli venduti in farmacia, sono in dosi infinitesimali. D'altronde anche gli storici dell'omeopatia hanno riconosciuto che il maggiore contributo di Hahnemann è stato il formulare il principio di similitudine e non l'uso di composti altamente diluiti, che non è una costante (1).

Un'interessante variante del principio di similitudine, citata anche nelle edizioni posteriori del testo di Hahnemann "Organon della Medicina", è la cosiddetta isopatia. Il termine fu probabilmente coniato altrove dal veterinario W. Lux intorno agli anni 1831-1833 (8). Questi suggerì che basse dosi di prodotti di contagio (batteri, virus, secrezioni infette e materiali organici), dopo speciali preparazioni comprendenti la sterilizzazione, potevano esercitare un effetto terapeutico sui disturbi derivanti da quello stesso contagio. Il principio di similitudine "Similia similibus" diventa così "Aequalia aequalibus", o principio di identità. Molti degli antichi studiosi in questo campo usavano nei loro rimedi terapeutici sia principi dei similia che degli aequalia.

STUDI SPERIMENTALI
Il vecchio principio di similitudine appare scientificamente un paradosso, soprattutto in quanto esso fu formulato come legge generale sulla base di evidenze empiriche e ragionamenti basati fondamentalmente sull'analogia, ma questo tipo di formulazione non ha permesso alcun progresso nella ricerca del possibile meccanismo degli effetti terapeutici prodotti. Oggi la situazione sta cambiando e sono disponibili studi chiarificatori, sia direttamente collegati all'uso del rimedio omeopatico in condizioni sperimentali note, sia collegati indirettamente con i problemi omeopatici ma prodotti in campo convenzionale. Nella letteratura scientifica corrente c'è un corpo sostanzioso di evidenze e di esempi che possono fornire nuovi spunti per la comprensione del principio di similitudine, non tanto perché esso sia proposto come ipotesi di partenza o preso in considerazione esplicitamente come argomento nella fase di discussione, ma perché questi lavori possono documentare e chiarire un certo numero di aspetti specifici dei meccanismi biochimici di regolazione che potrebbero sottostare ai fenomeni paradossali osservati. Allo scopo di ottenere una stima quantitativa, abbiamo fatto una ricerca nei circuiti di documentazione internazionale (Medline) cercando i lavori che contenessero nel titolo la parola-chiave "paradoxical effect" e così abbiamo trovato che nel periodo dal gennaio 1994 al giugno 1996, le riviste scientifiche di medicina hanno pubblicato 674 articoli con riferimento a questo argomento.

I primi tentativi di indagare il principio di similitudine su basi sperimentali possono essere fatti risalire alla fine del diciannovesimo secolo, quando H. Schulz pubblicò una serie di articoli che prendevano in considerazione l'azione di vari tipi di veleni (iodio, bromo, cloruro di mercurio, acido arsenioso, ecc.) sul lievito, mostrando che quasi tutti questi tossici avevano un certo effetto stimolante sul metabolismo del lievito quando forniti in bassa dose (9,10). Egli poi venne in contatto con lo psichiatra R. Arndt ed insieme essi elaborarono un principio che più tardi venne conosciuto come "legge di Arndt-Schulz", che dichiarava che deboli stimoli accelerano modestamente l'attività vitale, uno stimolo di intensità media la incrementa, uno forte la deprime e uno molto forte la arresta (11). Simili osservazioni furono riportate da molti altri autori negli anni '20 e dalle loro osservazioni si può concludere che il fenomeno di effetti inversi, o bifasici, a seconda della dose di una stessa sostanza era già ben conosciuto prima ancora dell'era della medicina molecolare (1,12).

Il manifestarsi di due opposti effetti (sia stimolatorio che inibitorio) da parte di una stessa sostanza quando sia usata a dosi differenti o per periodi di tempo diversi è stato descritto in vari modelli sperimentali ed è stato spesso chiamato "hormoligosis" o "ormesi" (12-16).

Nel 1960 Townsend e Luckey esaminarono il campo della farmacologia della medicina classica per evidenziare esempi di effetti ormetici e pubblicarono una lista di 100 sostanze note per essere in grado di provocare inibizione ad alte concentrazioni e stimolazione a basse concentrazioni. In generale, gli effetti descritti ricadevano tutti in tre categorie: quella che coinvolgeva la risposta muscolare, quella riguardante la respirazione e quella riguardante la trasmissione dell'impulso nervoso (13).

Il principio di similitudine è stato indagato in alcuni modelli sperimentali di laboratorio. I dati più importanti sono stati raccolti utilizzando modelli basati sull'attivazione di cellule umane (basofili, linfociti, fibroblasti, cellule renali, granulociti) e cellule vegetali. Una rassegna di tale letteratura va oltre gli scopi di questo articolo, sicché noi qui riferiremo solamente alcuni degli studi più significativi e alcuni dei nostri personali recenti risultati. Resoconti più dettagliati sono stati riportati altrove (17-19).

Un'importante serie di esperimenti, condotti da gruppi francesi e pubblicati nel 1988 su una prestigiosa rivista di farmacologia (British Journal of Clinical Pharmacology), dimostra che dosi molto basse di istamina e di un estratto di ape (Apis mellifica) inibiscono significativamente la degranulazione dei basofili indotta da anticorpi anti-IgE (20). Questo effetto è davvero notevole dato che sia l'istamina che il veleno di ape, quando liberati in un tessuto a dosi normali, hanno potere pro-infiammatorio e proprietà irritanti. Perciò questo esperimento illustra chiaramente l'applicazione del principio di similitudine in un modello sperimentale: una sostanza che è conosciuta come stimolante del processo infiammatorio alle dosi convenzionali, è in grado, a dosi diverse, di inibire la cellula responsabile di molti fenomeni del processo infiammatorio acuto. Un simile approccio fu in seguito applicato anche da altri gruppi, che riportavano anch'essi l'effetto inibitorio di istamina sull'attivazione dei basofili (21,22).

Noi abbiamo sviluppato vari modelli dove le risposte funzionali di neutrofili di sangue umano erano modificate in vitro in modo da esprimere, al variare delle dosi dei composti, le tipiche inversioni di risposta. Il primo modello mostrava che un pre-trattamento dei neutrofili con basse dosi del peptide batterico fMLP incrementava la loro responsività funzionale alle alte dosi (questo fenomeno l'abbiamo chiamato priming omologo), mentre il pre-trattamento con alte dosi di fMLP decrementava la responsività ad un secondo trattamento con alte dosi (è un esempio tipico di down-regulation del recettore indotta dallo stress) (23).

Un secondo modello mostrava che alte dosi di fMLP inducevano un marcato aumento dell'adesione cellulare a superfici plastiche rivestite con siero; d'altra parte, quando l'aumento dell'adesione era indotto dal pre-trattamento dei neutrofili con endotossina batterica (LPS), in queste condizioni una bassa dose di fMLP inibiva e annullava l'adesione indotta da LPS (24). Il fenomeno non è presente solamente nelle cellule pre-trattate con LPS, ma noi l'abbiamo descritto anche in cellule infiammatorie, per esempio cellule ottenute da essudato cutaneo di infiammazione sperimentale (25). In conclusione, l'agente chemotattico fMLP, che viene considerato come un attivatore dell'adesione dei neutrofili, paradossalmente inibisce questa risposta cellulare se usato a bassa dose in cellule che sono di per sè già iper-adesive. Tutto ciò dimostra su un sistema in vitro che l'effetto di uno stesso stimolo può dipendere grandemente dallo stato di sensibilità e di responsività del sistema bersagli.

Abbiamo anche indagato il meccanismo di questo fenomeno e abbiamo trovato che basse dosi di fMLP stimolano l'incremento di AMP-ciclico (cAMP) e che l'aggiunta di cAMP più teofillina ai neutrofili pre-trattati con LPS inibisce l'adesione. Tutto questo porta a dedurre che il fenomeno di inversione d'effetto visto nel nostro modello sperimentale, cioè l'inibizione dell'adesione cellulare provocata da un agonista cellulare, sia dovuto all'incremento di cAMP innescato dalla bassa dose di fMLP. Il ruolo giocato dal cAMP nelle vie di "gating" (controllo di apertura/chiusura) della trasduzione di segnale, così come nel controllo dell'intensità e direzione (cioè positivo o negativo) della risposta a vari segnali extracellulari è stato recentemente preso in considerazione anche da altri ricercatori (26). Una sorta di cancello positivo/negativo può regolare il flusso d'informazione attraverso sistemi di trasmissione e può essere attivato da segnali intracellulari o extracellulari. Chiaramente questo del cAMP è solo un esempio di una serie di possibili spiegazioni dei fenomeni apparentemente paradossali che sono stati descritti nei sistemi cellulari.

La ricerca tossicologica è un campo dove sono stati descritti spesso effetti inversi a basse dosi. Effetti benefici come la proliferazione cellulare indotta dallo stress sono stati osservati in cellule esposte a basse dosi di tossici o radiazioni (15-17, 27-29). In particolare per quanto riguarda l'effetto delle radiazioni, il vecchio assioma che il rischio di cancro è proporzionale alla dose è stato recentemente riveduto in base a dati che dimostrano che la mortalità per cancro in popolazioni che vivono in zone a più alta esposizione a radiazioni naturali sarebbe più bassa rispetto a quella di popolazioni che vivono in regioni meno esposte a radiazioni (30). Questo fenomeno paradossale offre supporto al concetto di ormesi delle radiazioni, cioè un effetto protettivo esplicato da basse dosi dell'agente che è sicuramente dannoso ad alta dose. Così, somministrando a degli animali un composto diluito di sostanze tossiche, è stato riportato l'incremento della cinetica di eliminazione di prodotti identici con conseguente effetto di protezione sugli animali (31-34), anche se va detto che il numero di studi condotti in modo metodologicamente corretto e ripetuti in laboratori diversi è ancora troppo piccolo per permettere di trarre conclusioni definitive (17).

Come appena detto, nella letteratura scientifica biomedica sono riportati parecchi casi di effetti duplici (cioè positivo e negativo) con vari composti, a seconda delle diverse dosi impiegate o delle differenti condizioni sperimentali. Per esempio, questi effetti paradossali sono stati riportati utilizzando prostaglandine (35,36), beta-proteina amiloide (37), radicali liberi dell'ossigeno (38), ossido nitrico (39), neuropeptidi (40), citochine (41), insulina (42), acetilcolina (43) e trombina (44). Citiamo questi risultati sostanzialmente in relazione alla complessità di questi sistemi di regolazione e all'esistenza di un sottile equilibrio tra azioni opposte in tutti gli analoghi sistemi omeostatici composti da "networks" tra molteplici tipi e segnali cellulari. Tale complessità è così grande che alcune ricerche hanno trovato che è utile applicare modelli matematici per descrivere certi sistemi, come quello immunitario (45,46). Questi modelli hanno dimostrato che un'efficace regolazione dei disordini immunitari può essere ottenuta con gli stessi antigeni o con gli stessi linfociti responsabili dell'insorgenza della malattia, a patto che le dosi o le procedure di somministrazione siano diverse.

Molti modelli su animali hanno dimostrato risposte non-lineari o anche opposte allo stesso farmaco ad agenti immunomodulatori. Costruendo un grafico coi dati della risposta antigenica di animali di laboratorio nei confronti di dosi diverse di antigene utilizzato per pre-trattare gli animali, si può osservare che la risposta immunitaria risulta depressa (stato di "tolleranza") sia negli animali che hanno ricevuto l'antigene in dosi molto basse che in quelli che l'hanno ricevuto in alte dosi. Le dosi intermedie, invece, determinano una risposta maggiore.

Il nostro gruppo e in particolare la dr. Conforti ha sviluppato alcuni modelli sperimentali che consentono di vedere alcune applicazioni del principio di similitudine nell'animale. Nel primo si è dimostrato che l'istamina in dosi molto diluite è in grado di inibite la risposta infiammatoria acuta nella zampa del ratto indotta da alte dosi di istamina (47). In un altro modello, questa volta di flogosi cronica, abbiamo dimostrato che l'iniezione di una piccola dose di adiuvante immunitario (estratto da Mycobacterium butyricum) nella cavità peritoneale dei ratti è in grado di prevenire e curare l'artrite indotta mediante inoculazione a livello della pianta della zampa di alte dosi dello stesso adiuvante (48). Questo è un ulteriore esempio dell'induzione di tolleranza immunologica mediante basse dosi di antigene, un procedimento di immunomodulazione che è stato ampiamente evidenziato negli ultimi anni in numerose condizioni anche nell'uomo.

Noi possiamo qui citare solo di sfuggita alcuni esempi di terapia sull'uomo che possono essere considerati come una particolare applicazione del principio di similitudine a livello molecolare (3-5, 49,50): l'uso di endotossine batteriche come immunostimolante, di immunoglobuline nel trattamento di disordini immunitari, di mielina somministrata per via orale nella sclerosi multipla, di collagene somministrato per via orale nell'artrite reumatoide, di estratti batterici nella bronchite ricorrente, di allergeni inalatori nelle allergie, di vaccini anti-cancro ottenuti da estratti tumorali o componenti delle proteine neoplastiche nel trattamento di neoplasie (51,52), e di peptidi leganti recettori di linfociti T o del sistema HLA. La maggior parte di queste terapie sono ancora nella fase sperimentale, ma il fatto che vengano sperimentate conferma l'aumento di popolarità del principio di similitudine nella medicina moderna.

Per quanto riguarda la ricerca clinica esplicitamente rivolta ai trattamenti omeopatici, si può notare che, fermo restando l'esistenza dei limiti storici sopra descritti, questo campo è lentamente evoluto e ora le cose stanno cambiando, grazie all'applicazione sempre più estesa dei metodi della medicina moderna (trials clinici, statistica, programmi computerizzati per la repertorizzazione, studi di laboratorio) anche all'omeopatia. Trials clinici allestiti per verificare l'efficacia di trattamenti omeopatici hanno fornito spesso (ma non sempre) risultati positivi (19). Gli autori di una meta-analisi di oltre cento trials clinici in omeopatia (53) scrivono: "L'evidenza presentata in questa rassegna della letteratura potrebbe essere sufficiente per considerare l'omeopatia come un trattamento da prendere realmente in considerazione per determinati casi", sebbene essi raccomandino ulteriori studi -e di migliore qualità -prima che possano essere tirate conclusioni definitive.

In un recente lavoro pubblicato su Lancet è stato dimostrato che l'immunoterapia omeopatica è significativamente più efficace del placebo (p=0.003) nei confronti dei sintomi dell'asma bronchiale (54). Un altro studio randomizzato in doppio-cieco confrontava il trattamento omeopatico della diarrea acuta infantile versus placebo (55). Un rimedio omeopatico individualizzato (o placebo nel gruppo di controllo) fu prescritto per ciascun bambino in aggiunta al trattamento reidratante tradizionale. I risultati indicano che il gruppo trattato ebbe in modo significativo (p<0.05) durata dei sintomi più breve e intensità minore rispetto al gruppo di controllo. Questi risultati e altri simili hanno suscitato notevole discussione sugli aspetti metodologici e sull'interpretazione dei risultati. Come punto di partenza, i sopra citati trials e altri studi clinici in omeopatia (56) sono promettenti, ma i loro risultati clinici, sebbene significativi, sono scarsi e necessitano di essere riprodotti da gruppi di ricercatori indipendenti prima che i loro risultati possano essere unanimemente accettati.

UN MODELLO GENERALE DEL PRINCIPIO DI SIMILITUDINE
La ricerca delle basi scientifiche del principio di similitudine, almeno per quanto riguarda le sue applicazioni biologiche, può essere facilitata dalla formulazione di ipotesi di lavoro e modelli razionali. A questo proposito suggeriamo che questo principio, nella sua accezione fondamentale, possa essere ricondotto al principio della "inversione degli effetti", che noi formuliamo nel modo seguente: "Composti biologicamente attivi possono determinare su un sistema omeostatico complesso degli effetti inversi o paradossali qualora siano modificati o la dose dei composti o le modalità di preparazione e di somministrazione o la sensibilità del sistema bersaglio stesso".

Questa espressione del principio di similitudine può essere utilizzata come definizione operativa di un'ampia serie di fenomeni che vanno dal livello cellulare a quello clinico, fenomeni le cui basi comuni possono essere ritrovate nella versatile adattabilità dei sistemi viventi agli eventi stressanti esterni.

Proveremo ora a riesaminare gli elementi fondamentali di questa moderna riformulazione del principio di similitudine.

Innanzitutto gli effetti osservati o attesi sarebbero inversi o paradossali. Questo significa che un composto (o un trattamento) che, secondo le conoscenze attuali, è considerato un inibitore agisce come stimolante, o al contrario uno stimolante provoca effetti inibitori. Stimolazione e inibizione sono i principali effetti finali valutabili in quasi tutti gli allestimenti sperimentali: ogni composto o trattamento può indurre -direttamente o indirettamente -modificazioni quantitative misurabili di alcune variabili come ad esempio la crescita cellulare, il peso corporeo, il ritmo cardiaco, la frequenza di crisi epilettiche, l'aggregazione delle piastrine, il tempo di sanguinamento, il volume urinario, ecc. La registrazione degli effetti eccitatori e inibitori prodotti da un rimedio e la costruzione di curve dose-risposta rappresentano gli strumenti fondamentali della farmacologia, data la loro importanza basilare per caratterizzare il meccanismo d'azione di ogni sorta di rimedio.

Secondo il nostro modello, l'inversione degli effetti può essere ottenuta fondamentalmente in tre modi:
1) modificando le dosi del composto o la durata di applicazione del trattamento: per esempio alte dosi o lungo periodo di applicazione possono risultare inibitori, basse dosi o breve periodo di applicazione possono essere eccitatori (come vedremo in dettaglio più avanti, può anche verificarsi il contrario, a seconda dei metodi sperimentali utilizzati);
2) applicando sempre la stessa dose o lo stesso trattamento ad un sistema che può presentare differenti stati di sensibilità o reattività al composto: lo stesso composto può causare stimolazione della crescita se il sistema su cui è applicato è in salute o non perturbato, mentre può risultare inibitorio e con effetti soppressori qualora applicato ad un sistema patologico o in precedenza perturbato;
3) somministrando lo stesso composto (o due composti simili) attraverso differenti vie di somministrazione: una via (per esempio iniezione parenterale) può causare attivazione o incremento della risposta, l'altra via (per esempio quella orale) può causare soppressione o tolleranza (vedi oltre).

Un punto molto importante di questo modello di ragionamento riguarda il concetto di sensibilità del sistema sotto trattamento. Le moderne biologia cellulare e immunologia hanno dimostrato che la sensibilità dei sistemi biologici (e degli individui) ad un trattamento somministrato può variare considerevolmente in base ad un numero di fattori che vanno dalla predisposizione genetica a fattori ambientali, a precedenti esperienze (memoria).

Le ragioni di questi modelli comportamentali dei sistemi biologici sono complesse, riguardando i modi attraverso i quali le cellule, i tessuti e gli organi regolano il grado di sensibilità al recettore, a livello biochimico e genetico. Per riassumere in breve un ampio discorso, noi possiamo limitarci a considerare i concetti di "priming" e di "desensibilizzazione" o adattamento. Ciò che si intende esprimere con il termine "priming" è uno stato di iperattivazione in risposta ad uno stimolo attivante, in grado di caratterizzare la cellula dopo che ha ricevuto un pre-trattamento con una piccola dose dello stesso stimolante ("priming" omologo) o di altri stimolanti di tipo diverso ("priming" eterologo).

Il "priming" è dovuto all'esposizione di nuovi recettori, all'attivazione degli stessi recettori e/o a un certo numero di modificazioni nella comunicazione intracellulare o nei sistemi enzimatici. E' il caso di sottolineare che il "priming" è stato descritto non solo a livello cellulare , come nei leucociti, ma anche a livello tissutale e d'organo, come ad esempio nel sistema respiratorio di soggetti allergici dopo ripetuti contatti con allergeni (57).

Con il termine "desensibilizzazione" si intende esprimere uno stato caratterizzato da perdita di reattività verso uno stimolo dopo che la cellula o l'organismo hanno ricevuto un pretrattamento con basse, medie o alte dosi dello stesso agente attivante (desensibilizzazione omologa) o con agenti stimolanti diversi (desensibilizzazione eterologa). In linea generale la desensibilizzazione (sia omologa che eterologa) può essere dovuta a molti meccanismi, tra i quali il distacco e solubilizzazione dei recettori, la "down-regulation" o inattivazione dei recettori stessi, il mancato accoppiamento dei recettori coi sistemi di trasduzione e la disattivazione dei sistemi effettori cellulari. Un fenomeno simile alla desensibilizzazione è la "tolleranza", che può essere definita come la non-reattività acquisita del sistema immunitario verso determinati antigeni.

La sensibilità dei sistemi biologici a dei regolatori endogeni o esterni (compresi i farmaci) è perciò il prodotto di delicati equilibri dinamici, che possono facilmente mutare per malattie o per precedenti o concomitanti contatti con altre sostanze. L'alterazione dei sistemi fisiologici durante una malattia li predispone a cambiamenti di sensibilità a livello di recettori specifici, cosa ben nota alla farmacologia classica (58).

Un altro aspetto importante della nostra ipotesi riguarda il concetto della cosiddetta "omeostasi". Un sistema omeostatico, nei suoi tratti fondamentali, consiste in un gruppo di elementi anatomici, biochimici e funzionali preposti a mantenere una variabile fisiologica entro un limite di oscillazione minimo/massimo. I sistemi omeostatici sono presenti ad ogni livello di organizzazione biologica: a livello cellulare (per esempio sistemi di trasporto di membrana, induzioni enzimatiche, proteine da shock termico, nucleotidi ciclici), a livello d'organo (per esempio la regolazione del flusso ematico, della popolazione cellulare, della struttura e morfologia), a livello di apparati (per esempio la regolazione della pressione sanguigna, la termoregolazione, la funzione renale, il ciclo sessuale, ecc.) e a livello delle funzioni superiori (per esempio le funzioni mentali ed emozionali, la personalità, il carattere, le decisioni e frustrazioni, ecc.): anche queste ultime funzioni contribuiscono all'omeostasi in quanto mettono l'individuo in grado di interagire con l'ambiente in modo opportuno o disregolato, a seconda dei casi.

La maggior parte dei sistemi omeostatici è costituita da due o più sotto-sistemi che hanno un preciso e opposto ruolo nel mantenere l'equilibrio. Per esempio, la concentrazione ematica del glucosio è regolata da ormoni (glucagone e insulina) che hanno su di essa effetti opposti, la fosforilazione delle proteine e nucleotidi è regolata da enzimi (chinasi e fosfatasi) che hanno effetti opposti, la circolazione del sangue è regolata da due sistemi (simpatico e parasimpatico) con effetti opposti, il sistema immunitario è regolato dall'attività di linfociti T helper e T suppressor (e secondo le più recenti veduta dai linfociti Th1 e Th2) con funzioni opposte, e così via. In determinate circostanze, l'attività relativa di due o più di questi sotto-sistemi dipende dalla presenza di specifiche sostanze regolatrici.

Collegare l'omeostasi e il principio di similitudine è pertinente. Infatti, la più ragionevole spiegazione dell'inversione degli effetti presuppone che il corpo (o la cellula) tenda a mantenere normali le funzioni. Ogni organismo vivente dispone di sistemi omeostatici che permettono di controbilanciare l'effetto dannoso di un agente con meccanismi interni di adattamento. Deviazioni reversibili dalla norma tendono a provocare dei fenomeni che hanno principalmente lo scopo di tentare di ripristinare la norma.

Quando la concentrazione, la durata o l'intensità dello stimolo sono superiori alla capacità di adattamento, si ha un danno severo o anche la morte del sistema. Tuttavia, è possibile che quando lo stimolo esterno è basso e non tossico, il sistema vivente non sia danneggiato, ma piuttosto stimolato a reagire in modo più o meno specifico contro il potenziale danno. Il sistema vivente avverte il tossico in piccole dosi come un fattore "informativo" e risponde con l'attivazione dei meccanismi omeostatici di controregolazione, i quali, a loro volta, conducono il sistema ad uno stato di maggiore resistenza e alla capacità di autoguarigione. In sintesi, il principio di similitudine presuppone che l'intrinseca tendenza all'autoguarigione possa essere potenziata e guidata attivamente utilizzando stimoli adatti.

Ci sono vari modi per avere inversione degli effetti e c'è un discreto numero di diversi modelli sperimentali a livello cellulare e sistemico dove questi fenomeni possono essere documentati: da ciò si deduce che non esiste un unico meccanismo per spiegare ogni possibilità. Tuttavia un'idea generale unificante che può sottostare a tutti i modelli specifici può essere fornita dalla complessità biologica (nella definizione del principio di similitudine riportata sopra è compreso anche il concetto di complessità). Negli ultimi anni la consapevolezza della complessità dei sistemi viventi e delle loro modificazioni patologiche espresse nelle loro malattie è sempre maggiore: in breve, un sistema può essere definito come un "sistema complesso" non solo quando è complicato (cioè costituito da molti elementi diversi), ma propriamente quando questi componenti interagiscono tra loro, sicché il totale è superiore della somma delle parti (59,60).

Il corpo umano nel suo insieme può essere visto come un sistema omeostatico complesso. Naturalmente più è complesso il sistema e più deve essere complesso il controllo delle reti di comunicazione e di quelle preposte a fornire specifiche risposte. Lo studio dei sistemi complessi applicato alla medicina (61) ha dimostrato che tali sistemi hanno delle proprietà peculiari, come la relazione non lineare dose-risposta, la plasticità di risposta con memoria di precedenti esperienze (priming, desensibilizzazione, condizionamento), la sensibilità a minime perturbazioni, l'organizzazione di reti di trasmissione dei segnali che costituiscono multipli circuiti omeostatici a feed-back, le oscillazioni dinamiche di variabili fisiologiche nel tempo.
Tutte queste proprietà possono essere riassunte nel sofisticato principio di "azione-reazione" che governa l'omeostasi: il corpo (e la cellula) non si comporta solo passivamente, ma anche attivamente e i fenomeni risultanti da interazione con stimoli esterni sono sia passivi che reattivi, il che serve per evitare il danno. In una terapia ideale, il primo tipo di interazione deve essere attaccato e bloccato, il secondo deve essere potenziato: nessun tipo di terapia da solo è sufficiente per abbracciare le infinite variabili dei fenomeni di malattia.

L'ipotesi generale che noi proponiamo qui è che le proprietà peculiari dei sistemi viventi possano rappresentare le basi fisiologiche del principio di similitudine. In modo schematico e semplificato, questa ipotesi può essere riassunta come segue:

1) Un sistema omeostatico complesso è fornito di sistemi di regolazione (recettori, meccanismi di trasduzione del segnale e meccanismi effettori) che possono avere funzioni opposte (per semplificare, stimolatorie o inibitorie). E' possibile che in circostanze alcune dosi dello stesso composto attivino vie stimolatorie, altre attivino vie inibitorie. Questo è il più semplice caso di inversione degli effetti che può essere documentato con curve non lineari dose-risposta, mostranti l'esistenza di particolari "finestre" di sensibilità e di responsività dei sistemi biologici a seconda delle dosi impiegate.

2) Se prendiamo in considerazione un sistema perturbato (o l'animale ammalato o il paziente nel caso di applicazioni cliniche del principio di similitudine) questo è un sistema in cui i meccanismi di auto-guarigione lavorano ad un livello sub-ottimale a causa del continuo stress o di insufficienti risposte di adattamento. Si può dire che in particolari circostanze la sensibilità del sistema a una regolazione esterna è profondamente alterata dalla malattia stessa. Per esempio, è molto probabile che certe sensibilità siano esaltate, mentre altre sensibilità, specialmente dopo ripetuti e specifici contatti con certi recettori, siano diminuite o assenti. E' possibile che un composto che non ha quasi effetti su un organismo sano provochi a bassa dose specifici effetti rilevabili o eclatanti su un sistema malato presensibilizzato. Oppure al contrario, è anche possibile che un diverso composto il cui effetto su un organismo sano appare come una stimolazione, non abbia effetto alcuno o abbia un effetto opposto su un organismo malato. In questo caso l'inversione degli effetti può essere determinata dall'esistenza di uno squilibrio tra due opposti sistemi omeostatici, come si diceva al punto precedente.

3) L'ultimo problema è capire se questi ragionamenti possano essere estesi al principio di similitudine "classico", che fu fondato sulla "similitudine dei sintomi". Questo è il punto più controverso, perché l'analisi dei sintomi non sembra essere "scientifica" come la rilevazione oggettiva di alcuni parametri fisiologici o biochimici. L'uso dei sintomi alla base della scelta del rimedio sembra in contraddizione colla medicina scientifica moderna che cerca conferme a livello biochimico e molecolare. Tuttavia noi riteniamo che questa contraddizione sia più apparente che sostanziale. Infatti ciascun sintomo può essere visto come l'espressione di una serie di modificazioni biochimiche e fisiopatologiche che spesso possono essere riconosciute. Per esempio la febbre può essere l'espressione di una reazione del centro della termoregolazione al rilascio di citochine da parte delle cellule infiammatorie attivate; il rossore cutaneo può essere espressione della reazione locale di cellule endoteliali e muscolari lisce a molti fattori dell'infiammazione acuta quali l'istamina prodotta dai basofili e dai mastociti attivati; l'ansia può essere l'espressione dell'effetto a livello centrale di molte molecole endogene come le catecolamine prodotte dal sistema nervoso autonomo simpatico come reazione ad uno stress; il desiderio di mangiare cose salate può essere visto come espressione della reazione dell'ipotalamo allo squilibrio elettrolitico conseguente a ritenzione idrica, e così via.

Se questo è vero, nell'attività clinica sia la descrizione del sintomo che il rilievo dei parametri di laboratorio e strumentali sono utili per il medico. Quello che cambia è il livello di integrazione di tutte le informazioni che queste diverse procedure diagnostiche possono fornire. Perciò, secondo il concetto tradizionale di similitudine, una sostanza che in un organismo sano e sensibile è capace di provocare l'espressione di una serie di modificazioni (sintomi), potrebbe essere in grado di di inibire le stesse o "simili" modificazioni che si sviluppino durante una malattia. Questo è possibile per il fatto che quando una sostanza è in grado di indurre in un organismo sano sintomi simili a quelli prodotti dalla malattia, ci si può aspettare che quella sostanza "tocchi" gli stessi o simili sistemi omeostatici di regolazione insiti nell'organismo e alterati dalla malattia: ci si aspetta dunque che il sistema omeostatico alterato dalla malattia risponda alla stessa sostanza con risultato opposto, favorendo così il processo di guarigione.

In sintesi, suggeriamo che l'attenta analisi dei segni e dei sintomi clinici secondo la procedura tradizionale di Hahnemann possa aiutare il medico a raggiungere diversi, ma non contrastanti, livelli di comprensione delle proprietà farmacologiche di composti biologicamente attivi e ad aumentare forse la possibilità di modificazione dei complessi e sottili disordini fisiopatologici che hanno luogo nella malattia. Ovviamente accettare questa procedura può aprire tutta un'altra serie di domande, dato che i due problemi principali sono la revisione del sistema di "sperimentazione" dei rimedi sui soggetti sani e il problema della dose da somministrare al paziente.

CONCLUSIONI E PROSPETTIVE
Gli studi riportati fin qui indicano che i succitati modelli di inversione degli effetti nei sistemi biologici sono supportati da una vasta serie di dati sperimentali emergenti da varie branche della ricerca biomedica moderna. Nessuno può ignorare che la maggior parte degli effetti tossicologici e farmacologici mostra tipiche curve dose-risposta di tipo sigmoide. D'altro canto c'è una serie di eccezioni a questa regola che dimostra che l'effetto di una certa sostanza può essere sia positivo (cioè stimolante o sensibilizzante) che negativo (cioè inibente o bloccante) a seconda della dose impiegata e dalle condizioni in cui si trova il sistema trattato.

Gli effetti ormetici possono avere più di una spiegazione a livello dei recettori, dei meccanismi di trasduzione del segnale, della regolazione enzimatica e dell'espressione genica, a seconda del modello sperimentale e del sistema implicato. Senza considerare il singolo meccanismo coinvolto, è evidente che i denominatori comuni delle varie forme di similitudine si situano nelle risposte a livello della soglia di percezione dell'organismo al farmaco e/o alle sostanze tossiche.

Se si assume che la risposta di una cellula comporta una o più modificazioni molecolari e reazioni biochimiche, la reazione minima possibile, subito sopra la soglia di sensibilità, è un tentativo di compensazione ai cambiamenti potenzialmente dannosi che possono essere causati da dosi medio/alte dello stesso composto. Questi fenomeni sono reminescenza della sopra citata "legge di Arndt-Schulz" e possono essere considerati come un'applicazione del principio di similitudine nei sistemi biologici quando questi siano esposti a particolari condizioni sperimentali. Tuttavia questa è solo un'estensione generale poiché la chiarificazione del meccanismo (o meccanismi) sottostante la maggior parte degli effetti paradossi osservati richiede ulteriori ricerche. Inoltre l'evidenza clinica dell'applicazione del principio di similitudine "classico", cioè basato sui sintomi, è ancora provvisoria ed incerta.

In ogni caso, questo studio mostra che il concetto di "similitudine" è un problema biologico e medico di importanza cruciale: molte ragioni suggeriscono che la rivalutazione scientifica del principio di similitudine è degna di massima attenzione. La ragione principale è che questo concetto può rappresentare una vasta e unificante struttura di riferimento per modelli teorici che spieghino sia il corpus di evidenze empiriche ricavate dalla vecchia letteratura medica che l'emergente evidenza sperimentale di effetti paradossi o di effetti apparentemente opposti descritti da diversi ricercatori in branche diverse che vanno dalla biologia molecolare all'immunologia e alla neurobiologia. Se questa struttura concettuale acquisterà credibilità e sarà sempre più documentata sul piano sperimentale, alcuni degli apparenti contrasti tra l'approccio della medicina empirica e l'approccio della medicina ufficiale potrebbero essere appianati in un unico percorso razionale.

Una seconda ragione sul perché la rivalutazione del principio di similitudine sia degna di attenzione è che esso può essere utilizzato come "principio euristico", ossia come elemento trainante sulla base del quale possono essere concepite nuove idee sperimentali da parte di ricercatori medici intellettualmente aperti. Ogni ricercatore nel suo specifico campo potrebbe progettare nuovi esperimenti basati sul principio di similitudine. Inoltre, la conoscenza del principio di similitudine e del fenomeno degli effetti inversi potrebbe stimolare una spiegazione positiva e fruttuosa del risultato di certi esperimenti che possono sembrare in disaccordo o anche in netto contrasto con le ipotesi iniziali. Il trovare risultati inaspettati, controversi o paradossali è esperienza comune degli scienziati, ma spesso questi risultati vengono ignorati e scartati perché non supportano le teorie correnti. Guardare agli effetti inversi secondo il principio generale della similitudine potrebbe aiutare e stimolare gli scienziati a sottoporre questi dati ad un riesame positivo: essi appariranno come un'espressione dei fenomeni di auto-guarigione che sono tipici dei sistemi biologici complessi.

In terzo luogo, la consapevolezza che i composti tossici e le radiazioni a bassa dose possono esplicare effetti benefici potrebbe condizionare positivamente la valutazione dei livelli ottimali di esposizione ambientale agli agenti ai quali la popolazione risulta esposta. Sulla base delle evidenze sopra discusse, è ragionevole che il rigido calcolo del rischio, basato su un modello lineare, possa essere sostituito in molte circostanze da un approccio di giudizio più pragmatico, basato su una accurata valutazione delle analisi dei dati epidemiologici e sperimentali sugli effetti dell'esposizione ad una sostanza in una data area (30). E' stato dimostrato che, se si tiene conto dell'esistenza dell'ormesi, il modello logico standard per la determinazione del E50 (ossia la concentrazione di sostanza alla quale si manifesta il 50% degli effetti) e l'intervallo di confidenza non è adatto e dovrebbe essere riesaminato e riparametrizzato (62,63). Inoltre, immaginando che una certa sostanza tossica o un certo grado di irradiazione abbia un effetto positivo a piccole dosi, in una certa area attorno alla zona maggiormente a rischio di patologie potrebbe stabilirsi una zona di maggior benessere, per cui diventerebbe molto più cruciale, nello studio epidemiologico, delimitare l'area di indagine (prendere un'area troppo vasta potrebbe annullare statisticamente l'effetto reale nell'area ad alto rischio).

Infine, il principio di similitudine potrebbe essere rivalutato come una strada di ripensamento delle strategie terapeutiche, secondo le due linee principali, cioè sia somministrando il "simile" inteso come sostanza che aiuta a conoscere i meccanismi patogenetici della malattia (quello che in farmacologia si chiama composto "analogo"), sia somministrando il "simile" inteso come un composto che provoca sintomi simili a quelli della malattia (omeopatia hahnemanniana classica o omeopatia di risonanza elettromagnetica).
La prima linea di sviluppo corrisponde all'approccio che storicamente è stato chiamato "isopatia" o "terapia dei nosodi" e la cui pratica consiste nell'utilizzare una serie di agenti che sono patogeni qualora usati ad alta dose in soggetti sani e terapeutici quando usati a bassa dose in soggetti malati: citochine, prodotti batterici, antigeni specifici, ossido nitrico, cellule cancerose modificate mediante ingegneria genetica.

La seconda possibile linea di applicazione terapeutiche del principio di similitudine è basata essenzialmente sulla similitudine dei sintomi ed è stata perseguita finora solo dalla scuola dell'omeopatia classica. Un punto cruciale dell'applicazione di qualsiasi procedura terapeutica esclusivamente basata sulla descrizione dei sintomi è che in molte affezioni i sintomi sono generici, poco rilevanti e anche ambigui, e così anche l'effetto del rimedio prescritto in accordo con essi potrebbe essere imprevedibile. D'altra parte, nella procedura dell'omeopatia classica l'attenzione non è diretta verso un singolo sintomo o verso qualche sintomo, ma verso la totalità dei sintomi, cioè verso l'intero insieme di sintomi caratteristici che definisce una persona malata. Perciò è possibile che la mancanza di specificità di un sintomo possa essere compensata, almeno in parte, dalla valutazione accurata di un numero maggiore di sintomi, dalla loro comparazione o concomitanza e dalla definizione di un tipico ritratto di ciascun paziente (la cosiddetta "personalizzazione della cura"). Solamente una ricerca clinica ben condotta e statisticamente provata può confermare o smentire questa ipotesi.

a cura di P. Bellavite, G. Andrioli, S. Lussignoli, A. Signorini, R. Ortolani, M. Semizzi e A. Conforti

 

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