Storia dell'Omeopatia dalle origini ai giorni nostri

Pubblicato il 26/01/2016

Categorie: Metodologia Omeopatica Estratti Libri - Recensioni

Autori: Maurizio Annibalini, Donato Virgilio

Storia dell'Omeopatia dalle origini ai giorni nostri

Lo scopo di questo libro ("Summa Homeopathica") è quello di dare la possibilità ai futuri omeopati di avere una conoscenza più approfondita e diretta di una serie di prodotti dei quali il mercato ha oggi una richiesta elevata. Tredici milioni di italiani fanno ricorso all'omeopatia e alla medicina naturale. Sono molti i medici in Italia che prescrivono e usano rimedi omeopatici e rimedi omotossicologici. Qui ci occuperemo soprattutto del rimedio omeopatico, ne parleremo in termini concettuali, ma anche pratici, applicativi. Parleremo dunque di clinica, e approfondiremo i medicinali che vi troverete a maneggiare e consigliare e sui quali dovrete dare risposte ai pazienti.

Prima di tutto è necessario partire dalle origini dell'Omeopatia, ovvero arrivare a comprendere i passaggi evolutivi che ci son stati per arrivare a questa particolare tecnica di approccio al paziente, tecnica che non ha nessuna interferenza o incongruenza con tutto ciò che è l'armamentario farmacologico tradizionale. Si tratta di avere un'arma a disposizione in più che va usata correttamente.

Cos'è la malattia?

Nell'antichità il malato era un peso nella comunità e spesso veniva allontanato. L'unico modo che aveva per affrontare la sua disgrazia era sperare in quello che aveva a disposizione nella sua epoca.

Col passare del tempo e col crearsi dei primi gruppi articolati si cominciarono a evidenziare delle suddivisioni di compiti che portarono i maschi agli atteggiamenti più aggressivi, come la caccia, e le femmine a quelli più sedentari e tranquilli, come la cura del focolare domestico. In questo modo fu possibile cominciare ad occuparsi anche di quegli individui che presentavano qualche problema di salute. A volte qualcuno aveva un'illuminazione riguardo a eventuali soluzioni per curare delle malattie, non sappiamo cosa accadesse esattamente, ma qualcuno si occupava della salute delle persone.

Le più importanti note scritte appartengono alla medicina egizia (2700 a.C.), in Egitto la pratica medica era fortemente supportata da numerose credenze religiose per le quali l'aiutare il sofferente si legava a pratiche mistiche propiziatorie.

Nel XVII secolo a.C., in Mesopotamia, il codice di Hammurabi fu la prima testimonianza di un codice etico comportamentale e in alcuni capitoli veniva riportato anche un codice medico con tanto di pene nel caso in cui le responsabilità stabilite non fossero state osservate: il rapporto, dunque, tra curante e curato cominciava a essere tutelato dallo stato. Siamo comunque sempre nella sfera del misticismo: erano infatti i sacerdoti a praticare la medicina, legata ancora a un ambito prettamente soprannaturale.

Nella Magna Grecia il fiorire dei filosofi e dei ricercatori portò a far chiarezza su alcuni aspetti dell'essere umano. In particolare si cominciò a fare la differenza tra armonia e disarmonia. Lo stato di armonia era inteso quando tutte le varie funzioni del corpo erano allineate e davano benessere, quando invece queste armonie non erano allineate e in equilibrio tra loro si arrivava all'uomo disarmonico che diventava oggetto di studi.

Nel V secolo a.C., Empedocle cominciò a porsi ulteriori problemi. Non era più solo una questione di equilibrio o no, cosa c'era nel corpo? Empedocle ebbe un'illuminazione affermando che il corpo era composto da 4 elementi fondamentali: fuoco, aria, acqua, terra, e che, in qualche maniera, questi elementi dovevano amalgamarsi per dargli vitalità.

Empedocle, con la sua teoria dei 4 umori fondamentali, fu l'ispiratore di Ippocrate, importante nome della storia della medicina. Egli intuì che alcune armonie e disarmonie non derivavano solo dalla rottura dell'equilibrio di quelle 4 componenti intuite da Empedocle, ma anche come lo stato di equilibrio dell'organismo era configurato: egli fu il primo che si pose il problema delle tipologie umane, quelle che oggi definiamo fenotipo.

Già Ippocrate aveva trovato nella prevalenza di un umore sugli altri 4 la risposta strutturale nel passaggio di crescita neonato-adulto: aveva classificato i vari soggetti a seconda dell'umore prevalente, in:

- soggetti sanguigni: nei quali prevale l'elemento sanguigno;
- soggetti flemmatici, più predisposti a malattie respiratorie;
- soggetti biliari, ovvero i soggetti irruenti;
- soggetti melanconici, in cui prevaleva l'aspetto di bile nera.

Importante è il fatto che Ippocrate si pose anche un'altra serie di problematiche. L'uomo non è solo un insieme di sintomi fisici ma anche di emozioni. Egli scoprì che sede dell'evoluzione e dell'elaborazione emotiva non era il cuore come si pensava, bensì il cervello. Cominciò, insomma, a definire le localizzazioni fisiche di situazioni che fisiche non sono.

Questa intuizione risulta importante perché con essa si cominciò a porre l'attenzione all'aspetto psicosomatico dell'individuo, la persona vista come insieme di emozioni e di situazioni fisiche. Ippocrate fu uno dei primi che sancì l'importanza dell'unitarietà del soggetto, la totalità dell'aspetto fisico e mentale, e soprattutto sganciò la medicina dal concetto soprannaturale e magico. Portò la medicina a qualcosa di naturale, terreno, tangibile e in qualche maniera spiegabile.

In una cultura politeista togliere l'uomo dalla dipendenza dalla divinità costituì un passo fondamentale, il percorso per arrivare alla terapia non dipendeva più da una pratica magica ma dall'osservazione dei sintomi della persona. L'analisi dell'individuo e il confronto su ciò che si analizzava sulla persona creavano l'esperienza. Si arrivò dunque ad una centralità dell'esperienza che veniva continuamente arricchita con l'osservazione del paziente e dei suoi sintomi: si passò ad un uso di metodi induttivi e non solo deduttivi per arrivare a un quadro complessivo di diagnosi con una particolare riflessione verso l'eziologia, sul sistema causa-effetto in termini lineari e naturali (il colpo di freddo causa febbre, non lo starnuto di Giove).

Ippocrate fu il primo anche a rendersi conto che molte malattie potevano esser curate applicando la teoria della similitudine similia similibus curentur, basata essenzialmente sull'osservazione. Per curare un malato a volte poteva essere utile somministrare piccole dosi di piante che se usate in dosi massicce in una persona sana potevano creare un'intossicazione con sintomi simili a quelli del malato. La considerazione venne fatta da Ippocrate con la pianta dell'Helleborus, la quale aveva la capacità di creare come intossicazione nel soggetto sano una dissenteria ematica, e aveva, invece, come infuso a bassi dosaggi, la capacità di curare certe dissenterie o gastroenteriti. Per questo motivo si fa risalire a Ippocrate l'origine primaria di uno dei concetti fondamentali dell'omeopatia, ovvero la teoria dei simili.

Con Ippocrate, abbiamo nella nostra cultura la nascita della prima forma di scienza medica scollegata da esperienze mistiche e basata sulla possibilità di archiviare le scoperte fatte derivanti dall'esperienza. Ne consegue la creazione delle prime banche dati a proposito dei rimedi testati.

Siamo entrati nell'area della metodologia rigorosa razionale empirica: vedo, prendo atto e segno.

 

Col tempo e con l'accrescere degli osservatori e delle varie esperienze cominciarono ad evidenziarsi delle divergenze di opinione: dopo Ippocrate si creò il partito dell'opposto, ovvero un suo successore, Galeno, in tante situazioni affermava che non valeva la teoria del similia similibus curentur, ma piuttosto quella che si basava su contraria contrariis curentur, ossia la legge dei contrari: se hai freddo ti scaldi, se hai la febbre e scotti ti metti qualcosa di freddo addosso. La medicina ufficiale però insegna che nel caso di congelamento non si mettono le mani sotto l'acqua calda, ma sotto l'acqua fredda, o ancora il vaccino è un'applicazione della legge dei simili, il paracetamolo invece è un'applicazione della teoria dell'opposto... bisogna dunque operare sempre una scelta oculata. La teoria dei contrari si basava sostanzialmente sull'idea che se è vero che una malattia ha una causa naturale, eliminando la causa si risolve il problema. Ma per la broncopolmonite, causata da un virus, come si elimina la causa? Quindi la validità della legge dei contrari si può misurare soprattutto nel forte impulso che fu capace di dare alla ricerca delle cause scatenanti di una malattia. Il fatto che si chiami "causa scatenante" vuol dire che scatena una reazione in funzione del terreno predisponente a quella reazione. Perché alcuni si ammalano e altri no? Per una predisposizione individuale. Su questa predisposizione individuale si creano i presupposti di una ricerca che purtroppo resta sempre confinata nell'ambito a metà strada tra salute, filosofia e religione e che quindi deve fare i conti con le diverse fedi e i diversi credi dell'epoca.

Prima del Medioevo, altre novità derivavano soprattutto dal mondo arabo, ma nulla di estremamente rilevante dal punto di vista dell'innovazione. Sappiamo però che grazie ai monasteri si tramandavano molti testi medici e di fitoterapia importantissimi.

Solo dopo l'anno mille, la medicina prese un avvio abbastanza significativo. Il primo grande libro di fitoterapia venne scritto da una donna che poi divenne anche santa, ovvero la badessa Ildegarda di Bingen che scrisse un testo dal titolo Causae et Curae in cui analizzava alcune patologie e sintomatologie indicando le cause, le piante utili alla cura e come trattarle. È il primo vero testo di botanica applicata alla clinica e siamo nel ‘200.

Nello stesso periodo sorse anche la Scuola Salernitana in cui si cominciano a riportare testi di altre culture sanitarie, soprattutto dall'Africa mediterranea, testi tradotti da un certo Costantino l'Africano.

In questo fiorire di conoscenze si arrivò al bisogno di codificare il modo di trattare gli strumenti sanitari sull'uomo. Federico II nel 1231 nelle Costituzioni Melfitane stabilì che per poter esercitare l'arte medica si dovesse fare un esame di abilitazione dopo dei corsi di formazione: lo stato cominciava a preoccuparsi da vicino della salute dei propri contribuenti.

In questa fase si cominciò a superare quello che era tornato ad essere il concetto di malattia come castigo divino. Ricordiamo sempre che la religione aveva un peso fondamentale sull'attenzione nei confronti dell'uomo. Il dolore visto come espiazione e umiliazione è testimoniato dalla caccia alle streghe (12001300) e dalla nascita della Santa Inquisizione che si accaniva sulle donne che in qualche maniera si riteneva facessero qualcosa di sovrannaturale, o che avevano a che fare con le erbe. In quel momento ricordiamo anche che cominciò a delinearsi l'idea del purgatorio, e i grandi rimedi dell'epoca erano i purganti per mondare, per eliminare il peccato e accedere puri al paradiso. Siamo comunque in qualcosa di non molto ben definito, tra Scuola Salernitana e influenze diverse francesi; al nord c'erano invece impostazioni culturali e filosofiche ben diverse. In quel periodo San Francesco fu il primo a chiamare sorella la morte e a ridurre il peso specifico di questa fine; San Tommaso, studioso dello stato di salute del corpo oltre che dell'anima, arrivò nelle sue questio a definire che il piacere fisico è sì un bene del corpo, ma deve esser regolato dalla ragione: prevalenza della ratio sull'istinto animale.

Si arrivò ancora all'unificazione di corpo e anima, ma qui il vizio fondamentale era legato all'anima in cui si vive la commistione di pensiero e religione e quindi ancora qualcosa di soprannaturale. Salute e malattia venivano visti come i fori estremi dell'individuo su cui il medico doveva trovare una mediazione, a tal proposito si tornò alla teoria aristotelica dell'armonia-disarmonia. Aristotele diceva che anima e corpo appartenevano allo stesso oggetto e che, se la biologia si occupava del corpo e la psicologia dell'anima, allora le due cose erano indissolubili. Il problema di questo dualismo fu che anima e psiche vennero confuse.

L'errore aristotelico, che basava la sua filosofia sulla centralità dell'uomo e del mondo, fu che anima e psiche erano la stessa cosa. Invece l'anima è riconducibile al proprio credo ed ha caratteristiche che variano da area ad area. La psiche si riferisce al singolo, varia da persona a persona, in funzione del rapporto che questa ha con se stesso e che lo rende unico per ciò che è, e per ciò che è la sua esperienza. Questo errore purtroppo portò avanti la chiusura della medicina verso molte forme di conoscenza.

Il culto delle reliquie, atto molto in voga al tempo con tutte le truffe che ne derivarono, fu una delle ragioni che obbligò molti stati a impedire l'autopsia e quindi questo determinò un arresto del progresso della medicina.

Intorno al XII secolo cominciano a sorgere i primi ospedali, che inizialmente erano solo dei ricoveri per i viandanti malconci. Anche qui si ebbe la manifestazione di quanto fosse importante e preponderante la presenza della religione: tutti gli hospitalia avevano la porta rivolta verso Roma, inoltre doveva essere sempre presente una cappella ben visibile e centrale.

Grazie agli ospedali si cominciarono a fare anche dei passi avanti nella sanità: cominciò a nascere la figura del medico pubblico, si aprirono altre facoltà di medicina in tutta Europa oltre a quella salernitana ma, il problema fu che queste scuole non progredirono poiché tramandavano solo una cultura già acquisita.

Nacque una nuova figura, quella del chirurgo, che creò una dicotomia sanitaria tra il medico che osservava e il chirurgo che operava. Il medico era pagato dallo stato, il chirurgo era visto male perché operava sul corpo. Di lì in poi le malattie cominciano ad essere suddivise per competenza: le malattie interne al medico (mal di testa), quelle esterne (ascesso) erano date al chirurgo che era aiutato dal barbiere poiché era la figura che possedeva le lame più affilate. Per diventare chirurgo si doveva dimostrare di essere in grado di crearsi degli strumenti per operare, e quindi il chirurgo doveva essere anche fabbro.

In quell'epoca poi Manzoni ricorda che intervenne una patologia devastante: la peste che, nel 1348 dopo oltre 10 secoli, ricomparve in Italia. Non si conosceva una cura per questa malattia e gran parte dei medici venne decimata per il contagio. Qui la medicina si trovò impotente, finalmente andò in crisi l'aristotelismo. La fabbrica del corpo doveva essere vista in un modo nuovo e successivamente l'Umanesimo, il Rinascimento e il fiorire di arti e mestieri portò alla liberalizzazione della possibilità del conoscere.

Ci trovammo finalmente in una nuova era in cui anche l'uomo era visto come appartenente all'universo in un'ottica più meccanica e di nuovo in una relazione causa-effetto. Si superò l'ostracismo nei confronti dell'autopsia e si analizzarono i cadaveri per capire cosa accadesse nel corpo dopo la morte.

Andrea Vesalio fu uno dei più grandi anatomici, a lui si deve il primo volume di anatomia umana risalente al 1500, dal titolo De umani corporis fabrica che rimase in voga fino al 1800. Il suo fu un volume ricco di disegni che cercano di svelare nel modo più dettagliato le scoperte e i progressi della conoscenza del corpo umano. Eravamo nell'epoca del rifiorire dell'arte pittorica che segue la perfezione fisica (Raffaello, Leonardo) e possiamo vedere come tutto andasse sempre di pari passo con la filosofia e il credo del periodo.

Dopo Vesalio, va ricordato Gerolamo Fracastoro che in quel periodo fu il ricercatore che definì con esattezza la sifilide, avendo un'intuizione sulla possibile via di contagio di questa malattia endemica, quella sessuale. Fracastoro arrivò ad affermare che c'era qualcosa di invisibile che era in grado di passare da un corpo all'altro. Cominciò a definire questi organismi viventi invisibili chiamandoli seminalia arrivando al primo concetto di quella che oggi si chiama batteriologia.

Arriviamo poi ad un altro studioso, Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim, detto Paracelsus (dal grande medico di epoca romana Celsum), che nel 1500 risottolineò l'importanza dell'esperienza osservazionale sperimentale contro la pura speculazione induttiva. Affermò in maniera forte che i pazienti erano i libri dei medici e che le differenze tra pazienti erano da seguire, il medico doveva agire in base a queste differenze, non si doveva vedere solo il sintomo come appariva ma anche come arrivava ad essere un sintomo, ovvero il passaggio patogenetico: il vero medico studiava le cause delle malattie studiando l'uomo universale. Una delle sue frasi più celebri è Sola dose facit venenum in cui riprende Ippocrate, ovvero non è l'elemento positivo o negativo che è critico o meno, ma l'uso che se ne fa. Riportò al livello strumentale quello che è l'argomento della medicina, ovvero il farmaco, il rimedio: era uno strumento che può dare la vita o la morte a seconda di come lo si usa. (Mitridate re del Ponto era immune ai veleni perché il padre lo aveva allevato a microdosi di veleni per forgiare il suo organismo).

La dose doveva esser riportabile a quella che era la causa della patologia e quindi nell'analisi del soggetto si doveva dividere quello che noi chiamiamo metabolismo dalla forza vitale, ovvero l'attitudine mentale della persona.

Successivamente Malpighi, allievo di Galileo, si fece dare dal maestro delle lenti da usare come microscopio e cominciò a studiare il corpo umano secondo questa nuova via di osservazione, scoprendo parti importanti della macchina umana (globuli rossi, strati di epidermide...). Nel frattempo la medicina faceva dei progressi, anche se modesti, e continuava ed esser sempre più importante la figura del medico condotto il cui motto era curare pauperes et miserabiles sine mercede.

Si passa poi alla figura di Frank, uno studioso che istituzionalizzò il criterio di protezione dei deboli: si cominciò a parlare di profilassi, cosa che aprì la strada a quelli che in futuro sarebbero diventati veri e propri vaccini.

Eduard Jenner, nell'epoca della rivoluzione francese, adottò una tecnica conosciuta dall'estremo oriente, ovvero la vaiolizzazione, e la applicò in dosi più modeste. Egli si accorse che erano immuni al vaiolo coloro che avevano contratto il vaiolo vaccino dagli animali, soprattutto durante la mungitura. Queste persone che già erano state contagiate, a contatto col vaiolo umano guarivano senza problemi. Allora Jenner provò a fare l'innesto: prelevò il contenuto di una pustola di vaiolo ovino e la iniettò al figlio del proprio giardiniere. Il risultato fu che il bambino schivò il vaiolo per qualche anno.

Di qui in poi la vaccinazione si diffuse come concetto, nonostante la presa di posizione della Chiesa che si reputava contraria, in quanto il vaccinare le persone andava contro il volere divino e costituiva un'offesa al creatore. Siamo nel periodo di lotte tra guelfi e ghibellini e i figli dei rivoluzionari, che erano pro-vaccino, sopravvissero di più al contagio.

Nel 1800 in Italia Spallanzani osservò il modo in cui avveniva la fecondazione delle rane. In questo modo ufficializzò che non si poteva avere la fecondazione se non attraverso il contatto fisico. Inoltre, Spallanzani operò la fecondazione artificiale sui cani e dimostrò come questa si basava su un atto squisitamente meccanico, senza che intervenisse il volere del Creatore. Fino a Spallanzani era credenza comune che gli insetti e gli organismi si riproducessero per generazione spontanea.

Nello stesso secolo un'altra figura molto importante da ricordare è quella del sassone Samuel Hahnemann, ragazzo di spiccate capacità intellettive, conoscitore di una decina di lingue, che si laureò in medicina all'università di Vienna. Egli distinse i farmaci in funzione dell'operando, criticando la mancanza di un metodo scientifico definito. La malattia è sempre uguale a se stessa? Perché curarla allora allo stesso modo non sempre funziona? Troppe scuole di pensiero contrapposte! Arrivò un giorno, al colmo della depressione professionale, a dire ai suoi pazienti di non saperli curare. Si spostò quindi dall'esercizio medico alla sola pratica del tradurre e si imbattè in un testo di un certo Cullen, che trattava di materia medica, ovvero un testo di farmacologia arricchito di un elenco di possibilità di intervento.

In questo testo notò come l'intossicazione della china a livello tossicologico desse ai soggetti una particolare tipologia di febbre che era la stessa dei soggetti con la malaria, che guarda caso si curava col chinino. Hahnemann ripensando a Ippocrate arrivò a convincersi che il famoso similia similibus curentur meritasse di essere recuperato e studiato meglio, ed elaborò una sua teoria che poi diventò fondamentale: solo osservando gli effetti dei farmaci sull'organismo si può capire come usarli. Quindi studiò tossicologia e farmacodinamica su degli sperimentatori sani. Questa è una delle sue grandi innovazioni date alla storia della medicina: lo studio dell'osservazione del farmaco; l'unico modo è provare il rimedio sui soggetti per sviluppare una nuova teoria della similitudine.

In questo modo arrivò ad affermare che il vero medico non aveva bisogno di altre informazioni sui farmaci se non sapere l'effetto che il farmaco determinava sullo sperimentatore sano. Hahnemann prese dunque uno sperimentatore sano a cui somministrò una sostanza in quantità elevata e osservò cosa succedeva. In questo modo, avendo un paziente con un determinato sintomo, si può somministrargli una dose minore rispetto a quella intossicante e lo si può così migliorare.

- Sperimentatore sano: dosi elevate di un farmaco: intossicazione.
- Soggetto naturalmente intossicato: dosaggio più basso di quello tossicologico: miglioramento.

Si trattava di un metodo diagnostico nuovo che si basava sulla comparazione tra la malattia, vista come insieme di sintomi, e ciò che è la capacità tossicologica di un certo rimedio: si crea dunque una similitudine tra malattia naturale e malattia indotta. Si cominciò a leggere in modo diverso la malattia, quindi non più con l'etichetta ma con una serie di sintomi con cui questa si manifesta. Si passò a scrivere in termini diversi la materia medica.

La sua osservazione sugli sperimentatori e i malati era rivolta non solo al fisico ma anche al sintomo comportamentale, riprendendo con questo i vecchi concetti di unitarietà dell'individuo come insieme sistemico di una fisicità, di un'emotività e di uno psichismo, il modo di vivere la realtà e le emozioni: si trattava di un'osservazione a 360 gradi. Ci si scollegava da tutto ciò che era mistico e religioso, concentrandosi sul concetto di Uomo inteso come insieme di un corpo (macchina), una psiche (autista) e un'emotività (le reazioni).

È il concetto di unità psicosomatica e il tutto era visto in funzione della sperimentazione tossicologica dei farmaci allora conosciuti sugli sperimentatori sani.

Hahnemann studiò le sostanze ipotossiche (quelle più tossiche erano già conosciute), e a forza di diluire arrivò ad una situazione critica che fa, ancora oggi, a pugni con un caposaldo della chimica e che è il numero di Avogadro; ma il Maestro non se ne preoccupò, si poneva solo il problema di trovare la maggior similitudine tra sintomatologia e tossicologia di un rimedio, ovvero di creare il meno danno possibile seguendo il detto primum non nocere. Il problema fu che esasperò questa dose minima, arrivando alle dosi infinitesimali. Prese soggetti sani e fece assumere loro 4 volte al giorno un rimedio diluito in quantità diverse e fece prender loro nota di tutti i cambiamenti che avvertivano nel loro corpo: chiese agli sperimentatori tutti gli effetti avversi nell'assunzione del rimedio. In questo modo si creò una sorta di carta di identità di ogni sostanza per diluizione.

Pian piano la banca dati degli effetti, a seconda della concentrazione del farmaco, si arricchì. Hahnemann si rese però conto che ci potevano essere delle informazioni incongruenti. Gli sperimentatori che assumevano farmaci poco diluiti mostravano sintomi locali e fisici (mal di testa, mal di pancia, vomito). I rimedi molto diluiti invece davano sintomi più ad ampio spettro sui comportamenti della persona. Analogamente, più a lungo durava la sperimentazione per un singolo rimedio ad una data diluizione, più variegati e multisettoriali diventavano i sintomi espressi. Oggi spieghiamo questo in termini di specificità d'azione a livello neurovegetativo, a livello surrenale, a livello catecolaminico, ecc., con tutti i sintomi comportamentali derivanti, ma al tempo non si sapevano queste cose. Lui guardava e prendeva atto e basta. Cominciò allora a porsi il problema delle suddivisioni: c'erano situazioni in cui il rimedio agiva di più sul fisico, altre sul mentale ma soprattutto si rese conto che questi rimedi avevano la capacità di creare sintomi diversi sui diversi sperimentatori: alcuni sintomi erano di massima importanza e quindi presenti in tutti gli sperimentatori, altri no. Oggi noi la chiameremmo incidenza di presenza di effetti collaterali. Ci sono quindi sintomi comuni a tutti e altri più rari.

Cosa intendiamo come sintomo?

Il sintomo è la percezione di qualcosa che cambia da un certo momento in avanti. La banca dati dei sintomi di Hahnemann porta a vedere la differenza tra i sintomi tossicologici e i sintomi patogenetici, cioè quei sintomi tossicologici riferiti a diluizioni estreme. È lo stesso processo logico: diversificare il sintomo tossicologico rispetto alla ponderalità alta del rimedio sullo sperimentatore, mentre il sintomo patogenetico è derivante dalla sperimentazione con la diluizione omeopatica di quel dato rimedio. Ovviamente si deve sempre associare il quadro clinico completo del paziente.

Se si traccia la carta d'identità del rimedio in base alle reazioni degli sperimentatori, bisogna cercare nel malato un insieme di sintomi per trovare la massima corrispondenza, bisogna quindi cercare nell'anamnesi del paziente quale rimedio e su quali sperimentatori ha dato gli stessi determinati sintomi che il paziente manifesta. Ed ecco dove nasce il simillimum, cioè il più simile possibile tra le migliaia di rimedi omeopatici esistenti: quale tra questi è il più simile al paziente.

Il problema è che questo simillimum si basa sulla totalità dei sintomi esposti dal paziente e quindi determina un passaggio culturale e metodologico dalla malattia al malato. (L'influenza è data dallo stesso virus per tutti ma ognuno lo vive secondo la propria fisicità). È il malato che guida Hahnemann alla ricerca di un rimedio e il problema era che a quel malato quel rimedio doveva essere dato a determinate diluizioni. Come faceva Hahnemann a diluire nel modo corretto? Aveva fatto, nel corso dei suoi studi, delle diluizioni decimali e centesimali. Le diluizioni oggi in uso sono ancora quelle, anche se si usano di più le centesimali che hanno la sigla CH, ovvero Centesimale Hahnemanniana. Per diluire si possono usare acqua o alcool, a seconda della derivazione della sostanza d'origine.

Hahnemann sperimentando le diluizioni non si rese conto che c'era un punto oltre al quale si superava il numero di Avogadro e che quindi si perdeva completamente traccia della sostanza d'origine.

In ogni caso, i rimedi omeopatici andarono avanti indipendentemente dal limite imposto dal numero di Avogadro. Hahnemann si accorse di un altro problema oltre la diluizione: per esser sicuro che la diluizione avvenisse uniformemente la faceva a mano. Aveva notato che i rimedi agitati in modo importante avevano un effetto terapeutico, quelli che non lo erano invece non funzionavano. Il rimedio dunque funzionava se, oltre che diluito, veniva anche dinamizzato, cioè agitato. Hahnemann cominciò a sistematizzare lo scuotimento arrivando a 100 scuotimenti per ogni passaggio di diluizione. Questa dinamizzazione è qualcosa che attraverso l'urto molecolare genera una reazione: non sappiamo a tutt'oggi con certezza cosa generi, ma sappiamo che comunque ne deriva una reazione.

In ogni caso, osservare quello che succedeva fu ciò che portò Hahnemann a fare molte affermazioni derivanti l'una dall'altra. Tutto ciò che egli affermava derivava dalla continua osservazione. Il malato deve essere osservato, conosciuto, e non identificato solo per una determinata malattia. Ognuno di noi ha motivi diversi per provare gli stessi sintomi. La totalità dell'osservazione del paziente porta all'analisi completa fisica e spirituale dell'individuo, ove per spiritualità si intende l'etica, l'atteggiamento nei confronti della vita. Bisogna calare il malato nell'ambiente in cui vive.

L'Organon dell'Arte di guarire di Hahnemann è il testo in cui egli codificò tutto quello che scoprì durante la sua vita di ricercatore. La sesta edizione di questo testo fu pubblicata postuma ma ci informa sul fatto che Hahnemann ebbe il buon senso di continuare sempre a mettere in discussione se stesso: ogni edizione corregge le precedenti.

L'omeopatia si rinnova progressivamente, oggi noi non usiamo gli schemi terapeutici di Hahnemann, ma i suoi concetti con gli strumenti attuali. L'omeopatia ha uno spazio nel patrimonio curativo che non è per nulla alternativo né all'allopatia né a tutte le altre tecniche di trattamento naturale di cura della persona. Al centro c'è sempre il malato, non deve essere la tecnica al centro dell'osservazione. L'omeopatia è una medicina integrativa, non alternativa. Il curare o il prevenire passa attraverso una miglior conoscenza del paziente. L'omeopatia privilegia il paziente e la propria situazione individuale.

A proposito della totalità del paziente, Hahnemann ebbe un'altra considerazione: se ognuno vive una patologia a modo proprio, vuol dire che in qualche maniera il terreno costituzionale su cui queste cause scatenanti agiscono è differente, e quindi bisogna considerare anche quel terreno!

In questo terreno bisogna osservare dove e quando si scatenano determinate situazioni. Ci si deve basare di più sulla presa in carico del malato. Perché ci si ammala in un certo modo dunque? Si ritorna ai soggetti biliari flemmatici e melanconici sanguigni ecc. di Ippocrate e Hahnemann li confronta con le scoperte del suo tempo e, soprattutto guardando anche al mondo animale, si accorge dell'esistenza del principio dell'omeostasi secondo cui l'organismo vivente è strutturato in modo da potersi garantire un percorso di recupero dell'equilibrio a prescindere dalle condizioni.

Ma se questo è un meccanismo, vuol dire che svolge un lavoro nell'economia della persona e come tale necessita di energia. Siamo alla fine del 1700 e il concetto di energia non è quello di Einstein a noi conosciuto, Hahnemann si riferisce a questa energia con un concetto molto ampio, ovvero l'energia vitale, qualcosa che sostiene la vita.

Energia vitale che è l'insieme di corpo, mente, psiche e anima del soggetto e prende in considerazione l'energia chimica fisica emozionale. Noi oggi sappiamo la suddivisione tra emisfero dx e sx per quanto riguarda la finalizzazione operativa dei lobi frontali, ma si tratta di conoscenze degli ultimi 10 anni. Sempre energia è. Misurabile che sia o meno. L'energia dei sentimenti nessuno la può negare. In tutto questo noi abbiamo un'unificazione che ci porta a sottolineare l'importanza del terreno come cofattore nel processo di patologia e quindi del terreno come cofattore nel processo di terapia.

Con le ultime informazioni a livello di fenotipizzazione ci si sta spostando verso una chimica del farmaco ad personam che tenga conto dell'aspetto genetico di ogni persona. Si tratta in realtà della messa in pratica di intuizioni di anni precedenti di persone che non avevano come oggi i mezzi e che quindi andavano per tentativi. E questi tentativi avevano portato alla formazione di due diverse teorie:

- la teoria miasmatica: appartiene ad Hahnemann in persona e si occupa del come un paziente indirizza la propria patologia;
- la teoria costituzionalistica: dei successori di Hahnemann di inizio 1900, soprattutto di scuola francese, che si occupa del come sia strutturata la persona, il corpo, e quindi individua gli anelli deboli soggetto per soggetto e vede quali sono gli organi più esposti alla patologia.

Noi ci occuperemo solo del concetto fondamentale: la reattività dell'individuo. Cosa porta il soggetto a vivere in un certo modo una malattia? Hahnemann si preoccupava di analizzare quali fossero le condizioni che portassero un soggetto ad esser più predisposto a certe patologie rispetto ad altri. Ci sono dunque organismi con una reattività alta, altri con una reattività bassa, ed altri ancora con una reattività disarmonica e ognuno di questi soggetti in qualche modo manifesta in modo fisico la propria tendenza. Teniamo presente che l'energia è qualcosa che non si crea e non si distrugge, ma si trasforma e questa energia è quella che sostiene un lavoro. Il lavoro è qualcosa che prevede un prima e un dopo, una trasformazione che varia da persona a persona e questo porta all'individualità morbosa.

Abbiamo parlato di individualità morbosa e stiamo quindi ancora parlando del malato e non della malattia, stiamo parlando di un soggetto nel quale le diverse ripartizioni di queste componenti energetiche possono spostare la curva di crescita e di mantenimento dello stato di salute verso ambiti e aree leggermente diverse l'uno dall'altro; vuol dire che stiamo parlando di un soggetto nel quale un tenore di vita e di energia alto può sostenere una fase di adattabilità caratterizzata dalle tendenza ad avere dei sintomi di tipo centrifugo, ovvero se il soggetto ha una quota energetica elevata ha una buona possibilità di mantenere attive le sue funzionalità organiche.

Vuol dire soprattutto che, se hai un sistema immunitario ben alimentato e delle vie di eliminazione ben funzionanti, tante tossine vengono eliminate senza problemi. È quella che si definisce fase elastica, nella quale le patologie sono modeste e hanno sempre esito favorevole, la prognosi è sempre positiva. Si parla il più delle volte di patologie funzionali nelle quali ci può essere una restituzione ad integrum senza grandi deficit funzionali dopo. Ma se questa fonte di energia già di per sé nell'individuo è carente, andremo verso una situazione nella quale non saremo più in grado di eliminare la causa della malattia, ma cominciamo a conviverci. Andremo verso le patologie da ritenzione: sono una reazione di adattamento in cui si smettono di usare le vie di sfogo, e si va verso l'accumulo che porterà a patologie non più funzionali, ma lesionali. Queste richiederanno trattamenti diversi: si tratta qui della via verso la cronicità. Se questa cronicità non ritrova una forma di equilibrio, si va verso una situazione degenerativa, nella quale la quantità energetica dell'individuo non è più in grado di sostenere un equilibrio compatibile con uno stato di buona salute, e ci troviamo tutta una serie di patologie irreversibili evolutive (Alzheimer, insufficienza renale, demenze ecc.) con prognosi il più delle volte infausta. Il tutto legato alla quantità di energie che il nostro individuo ha a disposizione. Ed è su questo che Hahnemann lavorò, dando dei nomi a quelle tre fasi, che oggi appartengono alla teoria dei sistemi applicati all'uomo, e definendole con dei nomi attuali per quell'epoca:

- psora: ovvero sintomi cutanei (es. orticaria)
- sicosi: sintomi da ritenzione debilitante (es. gastrite atrofica)
- lue: sintomi degenerativo/lesionali (es. ulcera vascolare o neuropatica)

Si parla dunque di segno di lesione reversibile (orticaria), di segno di lesione irreversibile ma benigno (gastrite) e di segno di lesione evolutivo irreversibile distruttivo (ulcera).

È chiaro che Hahnemann cercava sempre l'origine, la causa del come mai la maggior parte delle persone ha questi tre tipi di evoluzione. Probabilmente c'è qualcosa nell'ambiente che dà una spinta verso questa reazione. Oggi diremo che ci sono probabilmente una serie di sostanze e di situazioni che potrebbero essere le cause, ma come vedremo non saranno nemmeno queste ma ben altre, che in qualche maniera obbligano un organismo ad avere una determinata reazione. Teniamo presente che quando si parla di inquinamento da antibiotici, si parla di quelli che assumiamo inconsapevolmente giorno dopo giorno dagli alimenti, non quelli che ci vengono prescritti dal medico e che assumiamo in modo consapevole.

Ci interessa vedere come queste tre fasi di passaggio assumano caratteristiche diverse a seconda dell'individuo che contrae una particolare patologia. Sono tre fasi evolutive che tutti passiamo: tutti partiamo con un patrimonio energetico che strada facendo si consuma, tuttavia questo patrimonio energetico ognuno di noi lo usa in modo diverso perché ciascuno di noi ha una sua peculiarità.

La colite è uguale per tutti, però cambiano i sintomi e le modalità da persona a persona. È un problema che riguarda l'evoluzione dell'uomo: è da osservare come nell'evoluzione dell'uomo abbiamo delle scale temporali diverse che determinano delle reazioni diverse in ogni individuo; troviamo:

- la scala temporale lunga genetica, che si trasmette di generazione in generazione: sei fatto così e quindi morirai così;
- la scala temporale media è quella delle varie fasi di vita: l'adolescenza, la senectute, la maturità;
- la scala temporale breve invece sono le reazioni del nostro sistema vegetativo 24 ore su 24.

Quindi, quando vediamo una persona dobbiamo sempre porci il problema di quella persona qui e ora, il momento attuale. Il paziente ha mal di testa? Cerchiamo di capire che persona è per capire il suo mal di testa. Il dopo è l'obiettivo che ci dobbiamo proporre. Migliorare la persona è l'obiettivo.

Tutto questo prende il nome di anamnesi, ovvero la conoscenza della storia del paziente, che può essere breve, lunga a seconda della situazione, ma comunque la storia della persona e quindi l'attuale visto come evoluzione da un come si era prima e come si è ora. Prima com'era? Analisi del prima, durante e dopo la malattia. Il durante, cioè il disturbo, è una fase di adattabilità al fatto che prima stava bene e ora no.

Darwin diceva che la natura è equa e che nella storia evolutiva gli eventi accadono per caso. Le mutazioni genetiche che portano ad un vantaggio capitano per caso e se si è in grado di sfruttare quel vantaggio lo si può poi trasmettere alla progenie e questo è il passaggio evolutivo, ma in ogni caso tutti questi eventi sono mirati ad un unico obiettivo che è quello che noi trattiamo con i farmaci: sostenere l'esigenza dell'istinto di sopravvivenza dell'uomo.

L'istinto di sopravvivenza è quello che porta a cercare una soluzione ai problemi: se un vantaggio può essere passato alla progenie allora la specie si evolve e il ventaglio si allarga.

L'istinto di sopravvivenza è quindi l'istinto primario. È qualcosa che appartiene a qualsiasi organismo vivente e che sfugge al nostro controllo razionale perché sotto controllo del sistema nervoso autonomo e delle sue due componenti, il sistema simpatico e parasimpatico, che agiscono in sincronia per arrivare a trovare l'equilibrio funzionale ottimale. Per esempio, la tosse catarrale non è altro che un meccanismo finale che porta come finalizzazione all'eliminazione dei batteri che hanno invaso il nostro territorio organico.

Chiaramente, questo sistema neurovegetativo per lavorare necessita di energia e, in questa produzione energetica, la fa da padrona l'età del soggetto. I giovani ad esempio hanno una produzione energetica sempre in bilancio attivo, dimostrata dal veloce sviluppo dalla nascita all'età adolescenziale. Una volta raggiunta la fase finale dell'adolescenza, abbiamo una fase stazionaria, poi pian piano la curva di produzione energetica tende a calare e con essa tutte le funzioni organiche tendono a ridursi. Ma tutto questo noi lo dobbiamo vedere anche non solo in termini di produzione ma anche in termini di resa energetica, che con gli alti e bassi, giorno per giorno, avrà comunque una curva media che parte da una resa elevata in giovane età e man mano scende. In giovane età si ha la massima disponibilità di energia a carico dei propri organi, si sta meglio e ci si ammala meno e la gestione energetica viene monitorata e usata dal sistema neurovegetativo che sposta i flussi di energia da un settore all'altro aumentando o diminuendo la funzionalità organica di quel settore.

Questi flussi energetici ci sono perché abbiamo due strutture che ne gestiscono la produzione. Il sistema neurovegetativo non fa altro che spostare gli equilibri, ma la fabbrica dipende dall'attività della tiroide e del surrene, che gestiscono tutte le catene di produzione metabolica. E quindi queste funzionalità dell'asse tiroideo e dell'asse surrenalico sono quelle che maggiormente implicano una capacità produttiva da parte dell'individuo. Possiamo avere soggetti nei quali i vari sistemi simpatico, parasimpatico e neurovegetativo sono in equilibrio, altri soggetti in cui una componente è più fiacca e l'altra più vitale, oppure altri in cui un sistema prevale sull'altro. Ma tutto questo in termini finali porterà ad avere un soggetto in maggior asse di equilibrio o più spostato sul parasimpatico e quindi sull'inibizione funzionale organica, o più spostato sul simpatico e quindi sull'eccitazione funzionale organica. Questo ci porta ad avere una considerazione: dobbiamo imparare a sfruttarre al meglio tiroide, surrene ed equilibrio neurovegetativo, ovvero essere in grado, se questo è possibile a livello di prevenzione, di auto-identificarci in una delle diverse tipologie e comportarci di conseguenza, e nel momento di intervento terapeutico dall'esterno diventa fondamentale capire che tipo di soggetto abbiamo davanti in modo da essere in grado di somministrare la sostanza più adatta.

Questo ci porta a dover necessariamente prendere in carico un'osservazione del paziente per capire come agire. Hahnemann era arrivato proprio a questo, ma nelle sue conclusioni osservava che i soggetti più iperattivi avevano una buona capacità energetica di risposta ed avevano perciò bisogno di piccoli interventi terapeutici e quindi a loro dava i suoi rimedi a basso dosaggio. Quelli invece più inibiti, che trattenevano, avevano bisogno di concentrazioni più alte e terapie più durature nel tempo, dovevano essere iperstimolati per poter giungere ad un livello di risposta ottimale.

Noi oggi su questo improntiamo il discorso neurovegetativo organico, Hahnemann non se l'era posto ma era arrivato direttamente a delle conclusioni in cui erano fondamentali l'analisi e l'osservazione dei sintomi nell'individuo che portavano allo studio del terreno e alla valutazione della costituzione di questo soggetto. Solo in questo modo poi l'analisi della persona poteva essere vantaggiosamente confrontata con la carta d'identità dei vari rimedi noti all'epoca, e in questa opera di confronto, maggiore era la similitudine tra il soggetto e la carta d'identità, maggiore era la probabilità che quel rimedio funzionasse.

Ma di quel rimedio c'erano diverse diluizioni e quindi qual era la diluizione corretta? E da qui sorge un'altra problematica. Ricordiamoci come il processo di diluizione e dinamizzazione porta ad una progressiva scomparsa della materia organica del rimedio in uso, ma ricordiamoci anche come, nei vari passaggi, si arriva ad un punto nel quale si supera il numero di Avogadro. L'oltre il numero di Avogadro è qualcosa come l'undicesima e la dodicesima centesimale. Da una parte abbiamo ancora una parvenza di materia in soluzione, dall'altra parte c'è qualcos'altro a noi sconosciuto.

In realtà abbiamo la possibilità di avere qualsiasi diluizione, ma ne vengono prodotte solo alcune che sono 4 - 5 - 6 - 7 - 9 - 12 - 15 - 30 - 200 - 1000; fino alla 9 vengono considerate basse diluizioni, 12 e 15 intermedie, dalla 30 in avanti vengono considerate alte diluizioni.

Hahnemann nelle sue sperimentazioni si era reso conto che gli sperimentatori delle basse diluizioni avevano sintomi per di più locali, mentre quelli con le diluizioni più elevate avevano un corteo sintomatologico più ricco, cioè delle reazioni comportamentali: più aumenta la diluizione, più ci spostiamo dai sintomi somatici a quelli psichici. C'è un qualcosa che dobbiamo considerare: più ci spostiamo verso il non materiale, più diluizioni sono state fatte. Hahnemann si rese conto che le diluizioni dinamizzate funzionavano, le altre no, quindi ciò che conferiva maggior capacità di risposta ad un rimedio omeopatico non era tanto la diluizione quanto la dinamizzazione a cui il rimedio veniva sottoposto. Le alte diluizioni sono tutti rimedi che hanno avuto un elevato numero di dinamizzazioni e quindi un numero di scontri molecolari sempre più alto. In qualche modo questi scontri generano un potere curativo a livello omeopatico.

Ma se parliamo di scontri molecolari, vuol dire che ci spostiamo dal campo della chimica al campo della fisica e quindi hanno ragione i farmacologi che sostengono che il rimedio omeopatico non può avere un'azione farmaco-dinamica in quanto manca di farmaco, manca di molecola. Il rimedio non avrà un'azione farmaco-dinamica ma un'azione terapeutica legata ad eventi di natura fisica che conosciamo solo in parte.

Non abbiamo una prova scientifica di qualcosa di farmacologicamente attivo a queste diluizioni, ma abbiamo tutta una serie di prove fisiche che dimostrano come ci siano delle risposte di diversa natura che dicono come i rimedi a queste diluizioni siano uno diverso dall'altro in misura tale per cui, addirittura, si possono riconoscere alcuni rimedi attraverso la misura dei loro potenziali elettrici. Come questo poi sia attivo sulla cellula umana, sull'organismo, ancora non si conosce.

Noi sappiamo che nell'organismo le molecole dispongono di un'azione perché vanno a legarsi ad alcuni siti recettoriali, cioè vanno a innescare dei meccanismi che possiamo vedere e misurare. Le reazioni fisiche sono un po' più sfumate però, bene o male, quando misuriamo l'elettroencefalogramma, l'elettrocardiogramma ecc., noi non andiamo a misurare molecole ma forme di energia elettrica, andiamo a misurare dunque qualcosa che c'è.

Nel rimedio omeopatico andiamo a trovare delle risposte di misurazione reale, misurata tra il prima e il dopo che differenzia una diluizione 4 da una diluizione 9. Come questo poi agisca sull'organismo è tutto un altro discorso. Qualcosa, però, avviene. In qualche modo questo qualcosa agisce anche su situazioni encefaliche diverse: il cervello umano ha subito un'evoluzione, abbiamo un cervello arcaico pari all'encefalo, abbiamo un cervello successivo, il neoencefalo, e infine abbiamo la corteccia cerebrale. Il tronco cerebrale, sede dei processi neurovegetativi, è rimasto uguale nel mammifero come nel rettile. È la prima forma di cervello: sul bulbo e sul paleocervello si è poi strutturato quello più moderno sul quale poi si trova tutta la corteccia cerebrale dell'homo sapiens. Si tratta di tre stadi diversi. Nella parte più arcaica troviamo la parte neurovegetativa, all'esterno la strutturazione emotiva (ippocampo, amigdala ecc.) e, a livello dei lobi frontali e prefrontali, abbiamo l'elaborazione emotiva. I passaggi da una zona all'altra avvengono per via informativa elettrica e per via informativa chimica neuro-mediata (sinapsi ecc). In qualche maniera è probabile che questi rimedi riescano ad agire su queste terminazioni.

È un passaggio evolutivo che ci dice come con i progenitori condividiamo una struttura neurovegetativa che è rimasta identica a se stessa. Questo vuole anche dire che, in qualche maniera, condividiamo con altri esseri della natura alcune strutture che sono rimaste identiche. Molti atteggiamenti dell'uomo sono in comune con alcune specie animali. Molti atteggiamenti di sopravvivenza, ad esempio, si manifestano in modo analogo nel regno animale. La conoscenza dell'animale ha portato alla conoscenza di complessi processi umani (l'esperimento sui moscerini della frutta è uno dei più usati). Tutti i farmaci sono dapprima testati sui topi!

Gli animali ci hanno permesso di aumentare la conoscenza scientifica.

Che differenza c'è tra il neutrone dell'idrogeno e il neutrone dell'ossigeno? Nessuna. Noi siamo fatti di protoni, elettroni e neutroni, quindi tre elementi fondamentali che sono uguali per tutta la materia, messi insieme in modi diversi. Cosa li tiene legati? La forza elettronucleare, che è una forza che non ha niente di chimico. Noi stiamo insieme per mezzo di forze. La chimica è creata da forze. Esiste qualcosa che impedisce che questi elementi non passino da un individuo all'altro.

Perché dobbiamo ostinarci a pensare che solo la materia può essere causa di malattia e solo la materia può essere strumento di terapia? Se noi passiamo sul versante della psicopatologia e della psicoterapia abbiamo una serie di atteggiamenti che di materiale non hanno nulla, eppure creano dolore o benessere. Tutti elaboriamo idee che non hanno nulla di chimico, non sono molecole. Sono associazioni e reazioni interne.

Esistono molti modi di ammalarsi che appartengono a diversi mondi: al mondo chimico, mondo spirituale, mondo fisico... Allora perché solo il farmaco chimico ha ragion d'essere?

Ci sono anche tante altre possibilità. L'omeopatia non rappresenta una panacea, ma è innanzitutto un modo di vedere e analizzare la persona e di indagarne la storia. Alla fine di questa metodica si traggono delle conclusioni e sulle conclusioni si decide se usare l'omeopatia, la chirurgia o altro. Quello che si vuole sottolineare è il fatto che l'omeopatia insegna a guardare la persona sotto un altro punto di vista. Dopo l'osservazione si può decidere cosa fare.


Tratto da "Summa Homeopathica" di Maurizio Annibalini, Donato Virgilio

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