La vita di Jean-Pierre Gallavardin [Maestro dell'Omeopatia]

Pubblicato il 26/08/2021

Categorie: Storia dell'Omeopatia

Autori: Anna Fontebuoni

Fonte: Il Medico Omeopata - Rivista

La vita di Jean-Pierre Gallavardin [Maestro dell'Omeopatia]

È il 29 maggio 1863, a Lione si è radunata una gran folla, molti medici, intellettuali, nobili, ma anche gente del popolo, e curiosi. Il feretro del conte Sebastien Des Guidi, medico omeopata ultranovantenne, Cavaliere della Legion d’onore, percorre le vie cittadine scortato dal picchetto d’onore. È stato lui a introdurre l’omeopatia in Francia, nel 1830, e a formare una generazione di omeopati,  fra cui quel Jean-Pierre Gallavardin che legge la sua commemorazione funebre.

Il dr. Gallavardin a quel tempo ha 38 anni e a Lione tutti lo conoscono come medico appassionato, molto religioso, acceso sostenitore dell’omeopatia, ma anche curioso di tutte le nuove pratiche mediche. Nato a Saint Priest, vicino a Lione, il 5 febbraio 1825, fino a 24 anni ha avuto una salute cagionevole e ha conosciuto i migliori specialisti europei. La famiglia è benestante, il padre uno dei due grandi mercanti di cavalli della zona, sempre in giro per lavoro in Francia, Germania e Svizzera. Se lo può permettere.

A 21 anni viene guarito dal prof. Schlesinger, di Breslavia, per un principio di amaurosi che gli impedisce di leggere, facendogli portare occhiali a lenti gradatamente meno convesse, fino a piatte. Alla stessa età lo visita Des Guidi, luminare dell’omeopatia, e i risultati sono così eclatanti che da allora decide di dedicarsi alla medicina, e all’omeopatia sotto la guida del conte. Si iscrive alla facoltà di medicina di Montpellier nel 1854, in ritardo rispetto ai giovani del suo tempo, e segue anche corsi a Lione e Parigi. Deve recuperare ora che non ha più problemi di salute. Durante il periodo universitario scrive saggi su Ippocrate, sul galenismo, viaggia in Germania, Austria e Italia, osserva da vicino i progressi della medicina in questi paesi. Abbraccia qualsiasi teoria lo convinca dal punto di vista scientifico. Il 6 giugno 1846, Des Guidi, nei suoi registri di visite, scrive che il giovane Gallavardin ‘non aveva alcuna fiducia nei rimedi, ma ora è fermamente convinto’.

Diventa sostenitore dell’omeopatia, scrive lettere infuocate ai colleghi che pensa si stiano allontanando troppo dagli insegnamenti di Hahnemann. La moderna medicina ufficiale, però, non la rinnega mai.

Quando, nel 1849, un poco noto dr.Tessier sale alla ribalta per aver messo a confronto, all’ospedale Sainte-Marguerite di Parigi, l’omeopatia con l’allopatia, tutta la classe medica francese insorge. Il dibattito fra sostenitori e critici si fa acceso, anche per il fatto che il successo terapeutico omeopatico è evidente. A Lione la discussione porta alla formazione di un gruppo di omeopati, fra cui anche Gallavardin, che, insieme a un missionario cattolico e finanziatori che non badano a spese, si impegna a costruire un ospedale in cui è prevalente la pratica delle terapie omeopatiche.

Nel marzo del 1870 viene inaugurato l’Hôpital Saint-Luc. Costruito su una ex sala da ballo in riva al Rodano, in pieno centro della città, era dotato al primo piano di ambulatori e stanze di medici e paramedici, al secondo di quattro stanzoni di 8 letti ciascuno, al terzo dello stesso numero di letti per pazienti paganti e all’ultimo di camminamenti coperti per passeggiate. Gallavardin è uno dei medici volontari che lo gestiscono. Dopo alterne vicende e un boom alla fine del 1800, l’ospedale vedrà ridursi poi sempre più le terapie omeopatiche e ancora esiste, ampliato, modernizzato, con il nuovo nome di Centre Hospitalier Saint-Joseph Saint-Luc. In un certo senso lo spirito di fondazione è rimasto: ha cinque medici omeopati in organico nel reparto di Medicina Interna. Nel maggio del 1870 Joanny (soprannome di Jean-Pierre), a 45 anni, si sposa con la ventiduenne Barbe Vibert, detta Rosalie, donna riservata, che si rivela moglie e madre esemplare. Gli darà 11 figli, solo uno morto in tenera età. I maschi avranno tutti la possibilità di studiare e tre di essi seguiranno le orme del padre, iniziando una vera e propria dinastia medica. Le quattro femmine le possiamo immaginare felicemente sposate, dedite al ricamo, al pianoforte, ai pargoli.

È una vita tranquilla quella di Gallavardin. L’esperienza dell’ospedale Saint Luc l’ha reso molto popolare fra le persone della sua classe, di cui diventa l’omeopata ‘curante’. Si fa pagare bene, viaggia in continuazione per mantenere rapporti con i massimi omeopati del suo tempo, il barone von Boenninghausen per esempio, e con medici all’avanguardia in ogni branca della medicina moderna. Qui lo vediamo nel 1865, fotografato, non a caso, in finanziera e cilindro, simboli della professione medica. Fra i suoi molteplici interessi, nel 1870 inizia una corrispondenza feconda con Charles Dulac, omeopata parigino esperto di casi psichiatrici, ritirato dalla professione a causa di un lupus sfigurante.

Nella sua proprietà dell’Auvergne, Dulac si dedica allo studio delle patogenesi di Hahnemann. La praticità e il contatto con la realtà di Gallavardin e lo studio e la ricerca pura di Dulac danno vita a un sodalizio profondo, incentrato sulla cura delle malattie mentali, da cui nascerà il famoso Repertorio di medicina psichica, con più di 600 rubriche. La psichiatria è una scienza nascente, sono gli anni di Lombroso, della frenologia, della fisiognomica, dell’ergoterapia, ma anche dell’idroterapia e dell’elettroshock. Gallavardin si innamora subito dell’applicazione del ragionamento scientifico allo studio della personalità umana. Si rifiuta di continuare a fare una ‘Medicina Veterinaria’ tutta incentrata sulle malattie del corpo: la mente ha un ruolo altrettanto fondamentale nell’insorgenza delle malattie e l’omeopatia è in grado di curarla, in modo ‘rapido, dolce, duraturo’. Scrive un saggio su Hahnemann e le proprietà fisiche dei medicamenti. Non manca una frecciatina al Maestro per avere sottovalutato i sintomi psichici, ritenendoli sintomi accessori del sintomo principale, e agli omeopati contemporanei per non tenerli nel dovuto conto. Era una lacuna che avevano notato anche Hering e il quasi contemporaneo americano Talcott, che alla fine del secolo scrive Mental diseases and their modern treatment.

Chi erano i malati mentali dell’Ottocento? I primi ospedali psichiatrici ospitavano, oltre a una minima percentuale di ‘idioti’, disabili fisici e mentali, alcolisti, libertini, sofferenti di ‘patemi’, ma soprattutto di ‘miseria’. Il disagio sociale era vissuto in particolar modo dalla nuova classe operaia, uomini e donne che passavano 10 ore al giorno a lavorare in fabbrica, pagati ai limiti della sopravvivenza. Se ancora la famiglia borghese manteneva un equilibrio quasi perfetto (moglie ‘angelo del focolare’, seppur isterica, melanconica, o affetta da dubbi religiosi, marito ‘padre padrone’ a cui si perdonavano le scappatelle extraconiugali), l’inizio dell’emancipazione femminile e la crisi economica francese del 1870 cominciano a minare le solide fondamenta della società ottocentesca. Qualsiasi ‘devianza’ dai ruoli consolidati viene considerato un problema di ordine pubblico, dal punto di vista giuridico (criminalità) e medico (malattia mentale). L’alcolismo è, da questi due punti di vista, la peggiore devianza della società e quindi va ‘curata’.

In questo contesto il dr. Gallavardin, uomo profondamente religioso e desideroso di alleviare le sofferenze del prossimo, decide di mettere le sue competenze in materia psichiatrica gratuitamente servizio delle persone che tendono a imboccare la cattiva strada, per ‘carattere’ o disagi economici. Nel 1886 inaugura un dispensario gratuito per ‘poverissimi’, aperto il martedì mattina. Nei primi 34 mesi visita 2155 persone, la metà delle quali ubriaconi cronici. I risultati sono eccezionali. Le guarigioni, che descrive nei due libri Alcolismo e criminalità e Trattamento medico della passione genitale, hanno dell’incredibile, stenta a crederci egli stesso. E ascrive il merito ai pazienti stessi: i poveri sono ‘ubbidienti e perseveranti’ (non capricciosi come i ricchi…). Vanno a richiedere la sua consulenza soprattutto le donne. Disperate, con mariti e figli violenti, dediti all’assenzio, alle prostitute, gli chiedono i magici globuli che calmano, che fanno perdere le ‘cattive abitudini’. Gallavardin consola, dà speranza, dice loro di pregare, di essere gentili e condiscendenti, e di non dir niente dei globuli, di metterglieli nella minestra, nella tazza di latte, nel caffè che bevono la mattina (chi può permetterselo).

Una sola dose alla 30, 200 o 10 000ch e la guarigione è assicurata. Nel 1882 scrive Come il trattamento omeopatico può migliorare il carattere dell’individuo e sviluppare la sua intelligenza, e nel 1883 Medicina psichica in cui espone la terapia dell’ubriachezza come primo passo verso la prevenzione della criminalità, il trattamento a insaputa del paziente, e, da vera avanguardia basagliana, caldeggia la creazione di dispensari piuttosto che ospedali psichiatrici. Per quanto divenuto un esperto della materia, Gallavardin rimane sempre il medico affamato di novità che era da giovane. A 57 anni, vent’anni dopo aver rinunciato a Bacco e Tabacco (a Venere no, a quanto pare, dopo questa età infatti avrà ancora tre figli), diventa vegetariano. I suoi scritti abbracciano argomenti fra i più disparati: un Trattato di Igiene umana di 1200 pagine, un saggio sull’alimentazione umana, uno su quella dei cavalli, un libro di 500 pagine sulla tisi polmonare.

Si interessa di metalloterapia, agopuntura, associa la fisiognomica alla mitologia greca, scrive osservazioni sulle malattie degli occhi e la loro terapia omeopatica. Arriva a studiare l’orientamento migliore del letto dei malati, secondo la loro morfologia e l’affezione di cui soffrono. E per finire, si fa per dire, perché la sua vita sarà interrotta bruscamente, dopo aver visto tante donne disperate e imbruttite dalla povertà, dalle botte, dalla fame, e tante infelici signore cornificate scrive un trattato, Medicina plastica, in cui dimostra ancora una volta la sua vera natura di medico a tutto tondo, missionario e generoso, fedele all’omeopatia, al servizio di chi soffre (di qualsiasi cosa) e della società che soffre di disgregazione della famiglia.

[Le donne] avranno così capacità di contribuire all’armonia familiare e alla moralità coniugale. Infatti la donna tende a invecchiare prima del marito e se quest’ultimo è privo di senso morale, tenderà ad allontanarsi dalla moglie che ha perso il proprio fascino e il medico dovrebbe essere capace… di prolungare la loro giovinezza. Non si sa quali e quanti successi terapeutici concisamente una ventina di casi.

A 73 viene travolto per strada da una carrozza e muore dopo qualche giorno. Il repertorio, un’enorme quantità di scritti lasciati inediti, appunti, osservazioni, sono raccolti dal figlio Emmanuel, stomatologo e omeopata, nel Fonds Gallavardin disponibile online. Ma è Jules, il secondogenito, lo scapestrato che non ha voglia di studiare e si arruola nell’esercito, che seguirà le orme dell’amato padre con cui è in perenne conflitto, e diventerà un omeopata di fama. Purtroppo morirà prematuramente in guerra nel 1917. I tempi stavano cambiando, il padre avrebbe pianto, il medico avrebbe cercato di capire l’evoluzione di una medicina a cui aveva dato egli stesso un contributo fondamentale. La mente umana non è poi insondabile.

Bibliografia

Michael Dean, Comparative evaluation of homeopathy and allopathy within the Parisian hospital system, 1849–1851 J R Soc Med. 2010 Jan 1; 103(1): 34-36.

1. Jean Pierre Gallavardin, Psiche e omeopatia, Società Omeopatica Edizioni, Perugia (trad. Simonetta De Negri), 1993.

2. Paolo Giovannini, Il San Benedetto, Storia del manicomio pesarese dalle origini alla grande guerra, Pesaro città e contà n° 27, 2009.

3. Fonds Gallavardin

4. Biografia di Jules Gallavardin

Da vedere

  • A teatro: La Traviata di Giuseppe Verdi, Regia di Liliana Cavani. Teatro alla Scala, Milano, dal 28 febbraio al 14 marzo 2017.
  • Al cinema: Si può fare con Claudio Bisio, regia di Giulio Manfredonia, 2008.
  • In viaggio: il centro di Oslo il venerdì sera, il quartiere Haigh-Asbury di San Francisco, la Stazione Termini di Roma.

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